Storie dei nostri veci

OLINDO VILLANOVA


Settembre 2007

Olindo Villanova, Alpino per sempre

E' il pomeriggio d'una primavera appena sbocciata, allorché assieme al capo gruppo Livio Bortot, mi reco a casa dell'alpino più anziano di Sernaglia della Battaglia: Olivo Villanova.
Posso dire di conoscere Olivo già da parecchio tempo, pur senza avergli mai parlato. Da sempre l'ho visto portare, con quella sua estrema dignità, prima la fiamma del gruppo e poi la bandiera dei Combattenti e Reduci sernagliesi.
Ci accoglie con il sorriso che mai abbandona il suo viso, nonostante una vita solcata da molti sacrifici per la famiglia, per la Patria. Olivo Villanova è nato a Sernaglia della Battaglia il 24 ottobre 1919 da una famiglia di contadini. Fin da ragazzo dovette prendere coscienza della durezza della vita di quegli anni. Come tutti i suoi fratelli, tranne uno divenuto per vocazione di Dio prete missionario, emigrò all'estero per poter garantire a se stesso e alla propria famiglia un'esistenza decorosa. Passò 3 anni dal 1937 al 1939 compreso, in Francia a lavorare presso una segheria nei pressi di Arbonne.
Ritornò in Italia e di li a poco, il 14 marzo 1940 venne chiamato alle armi a San Candido presso la 79a compagnia del Btg “Belluno”, del 7° Rgt Alpini. Addestrato come mitragliere, fu congedato temporaneamente nel giugno del 1940, per essere poi richiamato a Belluno, poco più d'un mese dopo. Con altri 82 alpini, egli venne destinato a far parte del Primo Plotone Guastatore Alpino. Fu inviato a Verona per apprendere l'uso del lanciafiamme D.L.F., arma di cui era dotato il reparto appena formato. Dopo la breve campagna di Jugoslavia, con il facile successo delle forze dell'Asse ed il conseguente spartimento del territorio, il Plotone Alpino Guastatori venne impiegato fin dai primi mesi del 1941, nell'opera assai difficile, di soffocare i focolai di ribellione dei vari gruppi armati. Agli ordini del Colonnello Lucchitta, il reparto si trovò ogni giorno a fronteggiare un nemico invisibile che colpiva nell'ombra, al minimo alleggerimento dell'attenzione. I militari italiani, pur nell'indiscutibile ruolo di invasori occupanti, cercarono di instaurare con i civili un rapporto amichevole. Non sempre vi riuscirono perché fra la popolazione vi erano dei veri e propri fiancheggiatori dei guerriglieri. Fu così che per vincere l'estremo ostracismo, si dovette ricorrere talvolta all'uso dei lanciafiamme. Caddero molti alpini e tra di essi diversi commilitoni di Olivo. Vennero inoltre allestiti diversi ospedali da campo per poter accogliere i feriti. Conoscendo le mansioni lavorative svolte prima della guerra da Olivo, il suo comandante lo incaricò di trovare il legname per costruire i cofani mortuari su cui deporre le spoglie di quegli sventurati ragazzi uccisi nelle imboscate.


Olivo Villanova (primo da dx) con il Sindaco
Balliana e il reduce del 7° Bortolo Pederiva

Con un automezzo guidato da un autista, Olivo si spinse fino alle Bocche di Cattaro in Albania per reperire il materiale. Di quei lunghi mesi passati in lungo e in largo in terra slava, con sforamenti piuttosto frequenti in Albania, rimangono nella mente di Olivo le aberranti atrocità mitigate in parte dalla solidarietà regnante fra i commilitoni. Sono indelebili i luoghi: Prijepolije, Pljevlja, Kukes e Belgrado. Il 10 novembre 1942, dopo una rara e breve licenza trascorsa a casa, Olivo venne inviato a Torino, per poi essere mandato nel vicino territorio francese occupato. Con il suo reparto si spinse sin sotto i Pirenei. Avignone, Cavaillon e Carpentras sono le città in cui rimasero maggiormente a presidiare il territorio. Olivo ricorda in particolare il periodo passato a Carpentras, località ai piedi del Mont Ventoux, ove con la conoscenza della lingua e i suoi modi da persona perbene, fraternizzò con i civili locali vincendo la loro naturale ritrosia. Rammenta ancora che a Saint Tropez dovettero dormire in un cimitero, situato vicino ad un forte costruito dal Genio Militare Italiano per il lancio dei siluri a difesa della Costa Azzurra presidiata. L’8 settembre giunse con tutta la sua veemente ed ambigua crudeltà. Olivo con la sua compagnia si trovava quel giorno a Montecarlo. Informati dell’evento, cercarono di rientrare in Italia lungo la strada che porta a Ventimiglia, ma a fronte dell’avanzata verso la Francia di imponenti colonne tedesche, dovettero ritornare indietro e provare a valicare il confine nei pressi di Limone Piemonte. A Limone, dopo essere passati, il Genio minò un ponte e lo fece saltare. Poco più avanti nella galleria, un pluritamponamento fra i vari mezzi di ripiegamento, creò un groviglio di rottami, causando diversi morti e feriti e un disagio estremo. Ridotti si a piccoli nuclei, per poter meglio nascondersi dai rastrellamenti dei tedeschi Olivo e i suoi compagni durante il lungo cammino verso casa andarono incontro ad altre avventure. Come a Trofarello vicino Moncalieri, quando aspettarono la mezzanotte per guadare il Po con i nazisti di guardia sopra il ponte. O nei pressi di Verona allorché a bordo di un treno riuscirono a non farsi scoprire dai tedeschi a loro volta saliti per il controllo di routine. Arrivato a casa finalmente, dopo diverse settimane di odissea, trovo la gioia infinita dei famigliari. Passata la paura di venir arruolato nella R.S.I., Olivo venne “militarizzato” dai tedeschi della “Todt” la ditta che ripristinava le linee di comunicazione bombardate dagli americani . Finita la guerra, a cui Olivo dovette dedicare 43 mesi della sua giovinezza ricevendo una croce al merito, ricominciò la vita civile. Sposò l’adorata fidanzata Fedato Virginia e assieme ebbero 5 figli: un maschio e quattro femmine. Ma l’Italia di quei giorni, uscita dilaniata materialmente e moralmente dall’evento bellico, era in grado di offrire a pochi un lavoro dignitoso e sufficientemente remunerativo per una famiglia che si stava formando. Così come già aveva fatto prima della guerra, Olivo si rimboccò le maniche e partì prima per Torino, poi per la Valle d’Aosta infine per dieci anni in Svizzera. In tutti questi luoghi egli venne stimato come abile carpentiere e apprezzato per le sue doti umane. Nel 1960 tornò al suo amato paese di Sernaglia della Battaglia e nel 1962 assieme al fratello Aurelio e ad altri alpini in congedo, diede vita al locale Gruppo Ana del quale fu per oltre vent’anni l’alfiere. Tuttora Presidente dei Combattenti e Reduci locali da parecchi anni porta con dignitoso orgoglio, il tricolore di questa associazione, che pur assottigliata nelle sue fila dell’incedere degli anni, sopravvive per far ricordare il sacrificio di chi non è tornato e delega a chi è stato un po’ più fortunato, la speranza che tutto non cada nell’oblio, sotterrato da quella superficialità che rappresenta uno dei maggiori mali di questa società. Con il buon Livio Bortot lascio il caro Olivo Villanova salutandolo con una stretta di mano e la reciproca commozione che si fa viva nei nostri occhi. Torno a casa consapevole di aver carpito ancora qualche sfumatura sul perché la nostra associazione rimanga un punto fermo nelle nostre piccole comunità. Ci sono fra di essi degli uomini semplici che hanno basato la vita sul rispetto dei valori non rinnegandoli mai.

Renzo Sossai