Storie dei nostri veci |
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ONORINO PIETROBON |
Luglio 2021
Una pagina di storia, quella dell’affondamento della nave “Galilea”, si è
chiusa lunedì 1° Febbraio 2021 con la dipartita di Onorino Pietrobon di San
Quirino (Sezione di Pordenone), l’ultimo superstite di quel tragico evento della
seconda guerra mondiale.
Un filo diretto lo legava alla storia, quella vera vissuta da chi ha sacrificato
la propria salute o la vita in quella drammatica notte del 28 Marzo 1942 nelle
gelide acque dell’Adriatico nel Canale d’Otranto.
La Galilea era una nave passeggeri costruita nei cantieri navali di Trieste nel
1918 con il nome “Pilsa”, successivamente venduta alla compagnia Triestina nel
1935 e ribattezzata con il nome “Galilea” riclassificandola come nave ospedale.
Al termine della campagna di Grecia e del successivo periodo di presidio, i
comandi militari decisero il rimpatrio dei militari italiani lì dislocati,
soprattutto gli alpini, per poterli poi inviare nella nuova campagna militare
che si stava delineando, quella tragica di Russia.
La scarsità di mezzi navali di scorta fece sì che furono utilizzate circa una
decina di navi fra quelle adibite al trasporto e poche torpediniere di scorta al
convoglio, sperando (invano) nell’assenza di sottomarini inglesi nelle acque
dell’Adriatico. Destino volle che proprio quella sera ce ne fosse uno in zona,
il “HMS Proteus” in missione di perlustrazione nel golfo di Taranto. Le navi
italiane avevano caricato tutta la Divisione Julia e procedevano in doppia fila
al buio, con davanti, la “Viminale” a destra e la “Galilea” a sinistra che
portava tutto il Battaglione “Gemona”. Il tempo era pessimo, pioveva, il mare
era mosso e cominciavano i banchi di foschia marina, alle 23,45 la Galilea fu
colpita da un siluro sulla sinistra della prua che causò uno squarcio del
diametro di 6 metri, inclinandosi subito di 15 gradi. Sulla nave non c’erano
sufficienti lance e giubbotti di salvataggio per tutti, il mare aveva “forza 8”,
le onde sbattevano sul fianco inclinato facendo scivolare in acqua gli alpini
aggrappati alla vita.
Le altre navi si allontanarono velocemente per non incorrere nella stessa sorte,
abbandonando al loro triste destino i naufraghi superstiti; solo la torpediniera
“Antonio Mosto” restò nei paraggi, ma con il buio non riuscì a salvare nessuno.
Le acque fredde del Mediterraneo intanto facevano la parte del carnefice,
accogliendo nel loro buio ventre centinaia di alpini in cerca di un pezzo di
tavola per rimanere aggrappati alla vita.
Il giorno dopo arrivarono alcune unità per la ricerca dei pochi naufraghi che
furono salvati circa 15 ore dopo il naufragio, fra questi anche Onorino e, come
mi raccontava, furono posizionati sopra la sala motori per riscaldarsi,
provocando così la morte di molti superstiti a causa del repentino sbalzo di
temperatura.
In quella nave era stato caricato tutto il Battaglione Gemona, più alcuni
carabinieri e prigionieri di guerra Greci; dalle note ufficiali della marina
risulta che dei 1275 imbarcati se ne salvarono solo 284, molti soldati non
furono più ritrovati mentre i corpi di alcuni furono trascinati dalla risacca
sulle coste greche.
Onorino Pietrobon era nato a Castelfranco Veneto il 17 Gennaio 1921. Il
sottoscritto (Claudio Botteon) ha avuto la fortuna e il grande onore di scrivere
la sua storia circa 10 anni fa e di poterla pubblicare insieme a quella di altri
14 alpini della Julia, sul proprio libro “Grecia la campagna del fango”.
La sua storia ha dell’incredibile, Onorino mi raccontava che quella tragica
notte gli alpini che erano andati sottocoperta rimasero intrappolati nel momento
dell’affondamento. Lui che era stato votato a Sant’Antonio da Padova da sua
sorella prima della partenza per la Grecia, quella sera aveva avuto uno strano
presentimento e quindi volle rimanere sulla plancia della nave anche se pioveva,
il capitano gli impose di togliersi le scarpe e slacciarsi la cintura dei
pantaloni perché (mi disse) “in caso di affondamento le scarpe e i pantaloni
riempiendosi ti trascinano sul fondo”. Ha trovato un salvagente e se lo è legato
alla vita con la cintura per non perderlo in caso di caduta in acqua. Nel
momento in cui la nave ha cominciato ad inclinarsi si è buttato in acqua per tre
volte e ogni volta il mare mosso lo ributtava a bordo, finchè decise di buttarsi
da un altro punto, questa volta riuscì e rimanere in acqua ed allontanarsi per
evitare di essere trascinato nel gorgo; aveva addosso solo la camicia e le
mutande. L’acqua era gelida (era il mese di Marzo e il mare aveva “forza 8”), la
tempesta non diminuiva, le onde erano alte, tutt’intorno si sentivano le grida
degli alpini che cercavano di aggrapparsi a qualunque cosa pur di rimanere a
galla. Per fortuna il salvagente che si era legato in vita riuscì a tenerlo a
galla, tutt’intorno gli alpini affondavano inesorabilmente anche perché pochi
sapevano nuotare, il buio era totale. Con le prime luci dell’alba riuscì ad
intravedere la sagoma di una zattera a cui potè aggrapparsi in attesa dei
soccorsi che non arrivavano mai, alcuni naufraghi annegarono a causa dei crampi
alle braccia causati dal freddo e dal troppo tempo trascorso in acqua.
I soccorsi arrivarono alle 14,15 del giorno successivo all’affondamento, era
allo stremo delle forze e congelato, fu portato a bordo della torpediniera
“Antonio Mosto” insieme agli altri superstiti e furono buttati sopra i motori
della nave per scaldarsi.
Dopo averli salvati, la nave li sbarcò in Grecia a Prevesa e successivamente
furono rimpatriati via treno passando per la Jugoslavia e Trieste. Questa
tragica avventura e i problemi di salute connessi gli permisero di evitare la
campagna di Russia, rimase in caserma a Tolmezzo fino al fatidico 8 Settembre.
Giovedi 7 Febbraio 2021 si sono svolti i funerali solenni a San Quirino alla
presenza di una cinquantina di gagliardetti, 7 vessilli sezionali e una marea di
alpini nonostante le restrizioni dovute al Covid.
La nostra sezione era presente con l’emerito presidente sezionale Giuseppe
Benedetti, il vicepresidente sezionale Alessandro Cenedese con il vessillo, il
consigliere sezionale Claudio Botteon con il gagliardetto di Pianzano, il
capogruppo di Colfosco con il relativo gagliardetto e poi i tre alfieri di
Gaiarine, Bibano-Godega e Codognè con i relativi gagliardetti. Erano presenti
tutti i vari comandanti di reparto del Battaglione “Gemona”, emeriti e attuali.
Poi il silenzio suonato impeccabilmente dalla tromba alpina, mentre un
incaricato della Sezione gridava il suo nome per l’ultima volta.
Claudio Botteon
L'ultimo saluto a Onorino.