Storie dei nostri veci |
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OTTAVIO GRANZOTTO |
Dicembre 1968
Ci siamo recati a S. Maria di Feletto,
in casa del consigliere Elio Granzotto per sentire dalla viva voce del padre, Ottavio Granzotto -
cl. 1909, 7° Alpini btg. Cadore - le vicissitudini e le peripezie nel periodo di prigionia nonché del commovente
incontro, avvenuto nel maggio scorso, con la donna tedesca che in certo qual modo l’ha aiutato.
Richiamato alle armi nel 1942 si presentò al battaglione a Tai di Cadore e di lì fu subito inviato a Cannes (Francia)
dove l’8 settembre fu fatto prigioniero dei tedeschi.
Deportato in carro merci (erano sistemati una quarantina per carro) dopo diversi giorni furono smistati a Vedeiscaffe,
un paesino ai confini con la Svizzera, dove furono sistemati in alcune malghe. I tedeschi continuavano ad insistere
perché collaborassero con loro e visto che dopo 21 giorni di privazioni continue nessuno accettava, li hanno smistati
chi nel lavoro dei campi chi in fabbriche del luogo.
«Eravamo in 600 tra ufficiali e soldati - ci spiega Ottavio Granzotto - affamati e malandati; dopo essere stati portati
da un lager ad un’altro finalmente ci hanno sistemati in baracconi.
Ricordo che un perugino divise un pacchetto di tabacco fra
di noi - ‘na preseta paròmo - e ricordo anche che un giorno per raccattare una cicca per un compagno, stavamo andando in
fila per 4 alla fabbrica per lavorare, un tedesco che mi vide chinarmi m’aspettò e mi infilzò una mano con la baionetta.
Fu nella fabbrica dove mi portavano a lavorare che conobbi la signora tedesca: lei portava stracci e noi con quelli
dovevamo imballare pezzi di motore degli aerei; siccome i tedeschi le chiesero uno stanzone per collocarvi due macchine,
lei per controparte chiese un italiano che l’aiutasse a caricare e scaricare stracci. Posò gli occhi su di me e sul
guardiano che accondiscese dicendomi: «Otto va con frau».
In uno stanzone lavoravano con me altre donne, sei o sette, ed un bel giorno la frau mi fece cenno di seguirla in una
specie di sgabuzzino indicandomi sulla finestrella una pentola di minestra e spiegandomi (e quando si tratta di mangiare
lo si capisce in tutte le lingue) che ogni giorno avrei trovato la mia porzione.
Rimasi con lei sino all’arrivo degli americani e prima di partire mi consegnò una sua foto con l’indirizzo pregandomi di
mostrarla a suo figlio, che combatteva in Italia, e dirgli che sua madre stava bene e l’aspettava.
Da questa foto sgualcita e dall’indirizzo quasi illeggibile nacque l’idea di reincontrare la donna. Il figlio del
Granzotto, gelataio in Germania, si diede da fare per rintracciare il paese e la donna e nel maggio scorso avvenne il
patetico incontro. Il paesino s’era nel contempo ingrandito, la casetta solitaria alle pendici del bosco era attorniata
di case nate come i funghi e fu un’enorme fatica ritrovarla tra tutte. Finalmente seguendo quei tratti di fiume, la
colline, il bosco, l’orientamento lo portò davanti alla scaletta d’ingresso; una donna non più giovane era ferma sulla
soglia, si guardarono negli occhi, si mossero l’un verso l’altra, un fraterno bacio ed abbraccio seguito da un pianto
sommesso suggellò il loro incontro.