IL COMBATTIMENTO del PAL PICCOLO - 14 giugno 1915

Il Pal Piccolo - Pal Pizzul in friulano - è una montagna delle Alpi alta 1866 m. Si trova in prossimità del Passo di Monte Croce Carnico, al confine tra Italia (in località Timau di Paluzza, (UD), Carnia) e Austria. Sebbene sia una cima secondaria, deve la sua importanza ai combattimenti ivi avvenuti nella prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1917. Oggi sulla cima del monte è allestito un museo all'aperto, dove è possibile visitare i resti delle trincee e dei baraccamenti usati da alpini e Feldjäger durante il conflitto.
Pal nella lingua di Timau, una delle isole linguistiche tedesche in Friuli, significa "pascolo ripido privo di alberi e arbusti"

La Cappella del Pal Grande e del Pal Piccolo
La cappella Pal Piccolo, eretta a Sella Freikofel, fu fatta edificare nel 1915 da Don Janes, cappellano del battaglione Tolmezzo, poiché i suoi alpini non disponevano di un luogo dove pregare. Tutti i militari parteciparono al progetto, soldati e ufficiali. Il tenente carnico D'Andrea disegnò la chiesetta e i migliori scalpellini del battaglione, diretti dall'alpino Cipolât di Aviano (PN) prepararono i blocchi di roccia viva. Il tenente colonnello Ugo Pizzarello, comandante del battaglione, incaricò il Fragiacomo di dipingere una tela che ricordasse il sacrificio dei tanti ragazzi morti su quei monti, così l'artista veneziano dipinse la famosa Madonna della neve.
La cappella, eretta in pochi mesi, venne benedetta il 2 novembre 1916, alla presenza di autorità civili e militari della zona. Mentre si celebrava la Santa Messa, ci fu un bombardamento austro-ungarico e miracolosamente non ci furono vittime. Per tutti fu un segno della protezione della beata vergine. Così la cappella divenne meta di pellegrinaggi fino all'ottobre del 1917, mese della ritirata di Caporetto, quando la tela della Madonna della Neve prese la via dell'Austria come bottino di guerra. La colonna austro-ungarica però si fermò davanti alla chiesa di Timau e il parroco, Don Mentil, riuscì a sottrarla e a metterla al sicuro, per poi riportare alla fine del conflitto l'opera nella cappella.
Nel primo dopoguerra venne eretta anche la cappella Pal Piccolo, presso l'omonima casera, adiacente al cimitero di guerra ove furono sepolti 633 caduti, traslati poi nell'ossario di Timau.

IL COMBATTIMENTO del PAL PICCOLO il 14 GIUGNO 1915

1. Generalità
2. Il terreno dei combattimenti e le forze contrapposte
3. Il combattimento del 14 giugno 1915
4. Le polemiche originate dal fatto d’arme
5. Conclusioni

1. Generalità
L’esercito italiano entrò in guerra il 24 maggio 1915 contro l’Austria-Ungheria sotto la guida del generale Raffaele Cadorna che aveva formulato il concetto base del suo piano di guerra nel settembre 1914 (1).
L’azione principale consisteva nell’offensiva sulla fronte Giulia, mentre nel settore tridentino doveva essere mantenuta una difensiva strategica supportata da azioni tattiche parziali tendenti a migliorare la situazione.
L’azione secondaria consisteva in una offensiva in Cadore tendente ad occupare il nodo di Dobbiaco e ad assicurare lo sbocco in Carinzia (2).
Lo schieramento nemico, nel settore carinziano comandato dal generale Rohr, era composto da forze non molto consistenti numericamente, ma agguerrite ed appoggiate a posizioni naturalmente forti e irrobustite, nelle zone di facilitazione delle azioni avversarie, da opere della fortificazione permanente.
In alta Carnia gli avversari si fronteggiavano lungo la linea di frontiera che dal Monte Peralba a Passo Pramollo correva, allora come oggi, sulla displuviale tra i fiumi Tagliamento e Gail.
Nel settore But-Degano, ove erano comprese le posizioni del Monte Pal Piccolo, si svolsero, fin dall’inizio della guerra, vivaci ed accaniti combattimenti che avevano lo scopo di portare la linea di difesa sulla cresta delle Alpi Carniche per stabilire l’inviolabilità del territorio rispettivo.
La lotta si polarizzò nei primi giorni di guerra sulla testata del torrente But ad est di Passo Monte Croce Carnico in corrispondenza del Pal Piccolo, del Pal Grande e del Freikofel (3).
Qui si combatté il 26 maggio, quando fu rioccupato il Pal Piccolo (4), il 28 ed il 30 maggio, il 6 ed il 10 giugno senza che le rispettive linee di difesa fossero significativamente intaccate.

2. Il terreno dei combattimenti e le forze contrapposte
L’area del Pal Piccolo e del Pal Grande si trova sulla displuviale tra il fiume Gail a nord e la testata del torrente But a sud.
Le montagne che qui si ergono, si differenziano morfologicamente dai rilievi limitrofi attorno a Passo di Monte Croce Carnico, che hanno invece caratteristiche di asprezza tipicamente alpina.
Pal Piccolo, Freikofel e Pal Grande costituiscono la propaggine ovest del massiccio dell’Avostanis e formano una muraglia molto scoscesa nei versanti italiano ed austriaco, ma relativamente percorribile alle alte quote.
Il Pal Piccolo, in particolare, è un piccolo altopiano a forma di catino con il bordo settentrionale che domina quello meridionale, caratterizzato al centro da forme, rilievi tondeggianti e vallette percorse al centro da una profonda valle che sbocca a sud ovest in una profonda forra. L’altopiano degrada verso est con una serie di piccoli rilievi e corrugamenti chiamati "Dosso del Cammello" che terminano sulla punta ovest del Freikofel, mentre ad ovest cade ripidissimo sul Passo di Monte Croce Carnico.
Ma una descrizione che dia una chiara nozione di ciò che era questa zona all’inizio delle ostilità non è possibile. Le due quote dominanti, 1866 e 1859 metri sul livello del mare, denominate Pal Piccolo, non sono in realtà che gli spuntoni emergenti di un pianoro la cui base si trova all’incirca a 1800 metri e che presenta attorno alle quote maggiori, una quarantina di altri cocuzzoli, di altezza varia da 1801 a 1845 metri, dei quali alcuni hanno la sommità scavata a scodella, altri tondeggianti, altri a ripiano, con i fianchi talvolta verticali, accessibili solo con corde e scale, talvolta meno difficili, ma bruscamente sbarrate con salti di roccia.
Il Freikofel, o Cuelat, invece si erge ad est aspro e scosceso per circa 200 metri di altezza sui pianori circostanti con minore difficoltà di ascesa dal versante austriaco.
Ad est il Passo del Cavallo separa il Freikofel dal Pal Grande che ha caratteristiche simili al Pal Piccolo, anche se il pianoro sommitale è meno ampio. Più ad est ancora il terreno sale bruscamente verso il Monte Avostanis ed il Piz Timau, rilievi più elevati, con caratteristiche prettamente alpine (5).
Le quote dei rilievi variano dai 1.692 metri sul livello del mare del Dosso del Cammello, ai 1.757 metri del monte Freikofel, ai 1.591 di Passo del Cavallo ed infine ai 1.817 metri del Pal Grande.
Tra Pal Piccolo e Pal Grande intercorrono 2,5 km di linea d’aria mentre la larghezza dell’altopiano sommitale varia tra 750 e 1.000 metri.
La sera del 13 giugno, mentre la 22ª compagnia dell’VIII battaglione della Guardia di finanza sbarrava Passo di Monte Carnico, il Pal Piccolo era presidiato dal XX battaglione del Corpo ed in particolare dalla 61ª compagnia, che teneva la cima con a sinistra la 63ª, ed a destra la 23ª compagnia (dell’VIII battaglione). I reparti di prima linea erano rinforzati da due sezioni mitragliatrici rispettivamente del battaglione alpino Val Tagliamento e del XX battaglione Guardia di finanza.
Sulla vetta del Pal Piccolo era stato sistemato un osservatorio dell’artiglieria.
In riserva, a Casera Pal Piccolo di sotto, erano stanziati due plotoni della 61ª compagnia Guardia di finanza.
I reparti del Corpo erano giunti sulle posizioni soltanto da tre giorni, provenienti a marce forzate da Tolmezzo, distante oltre 40 chilometri.
Potevano agire in appoggio allo schieramento del Pal Piccolo unicamente la 52ª batteria da montagna dislocata al Monte di Tierz con il supporto saltuario una batteria da 149 schierata nei pressi di Paluzza.
Il settore era affidato al comandante del battaglione alpino Val Varaita alle cui dipendenze operava il maggiore Macchi comandante del XX battaglione Guardia di finanza.
Gli austriaci invece avevano destinato all’attacco ed alla conquista del Pal Piccolo il battaglione di truppe alpine della Stiria in primo scaglione ed il III battaglione del 61° reggimento di fanteria in secondo scaglione (6).
L’azione era coordinata dal comandante della 59ª brigata di montagna a. u., generale Fernengel.
Per l’attacco era prevista una vera e propria preparazione di artiglieria, il che era una novità in quel settore, condotta da numerose batterie postate sull’alpe Mauthen, sul Polnik e sul Köder. Anche se questo martellamento non poteva essere paragonato con i bombardamenti a tappeto dei tempi successivi era tuttavia abbastanza duro da scuotere i nervi dei finanzieri che non vi erano abituati e che non disponevano di caverne e rifugi a prova di granata.
Il piano di battaglia prevedeva che mentre le bombe e gli sharpnel spazzavano la vetta del Pal Piccolo con i difensori riparati alla meglio dietro le rocce ed i sacchetti di terra, gli stiriani si sarebbero avvicinati salendo da tre lati con una compagnia attraverso il canalone di destra, un’altra dalla valle di Angerbach per premere sul nemico da oriente ed al centro di queste due, con una mezza compagnia in attacco frontale.
Il concetto per l’azione difensiva affidata ai finanzieri che tenevano la linea di cresta del Pal Piccolo era semplice e scarna: difendere la linea ad oltranza per dar tempo ai rincalzi di giungere in rinforzo.
Tuttavia, poiché la linea tenuta dalla 23ª compagnia si estendeva per circa 600 metri e quella tenuta dalla 61ª, 62ª, e 63ª compagnia della Guardia di finanza si estendeva per altri 600 metri lineari, ne risultava una distribuzione disomogenea dal momento che sul settore ovest del Pal Piccolo la 23ª compagnia si difendeva con un uomo ogni 3 metri, mentre le compagnie del XX battaglione si difendevano con due uomini ogni 3 metri. Ciò in quanto il settore ovest era ritenuto più difficile da attaccare.
I finanzieri in linea erano armati di moschetto, ma erano privi di bombe a mano. Soltanto il settore est (XX battaglione) era rinforzato con due mitragliatrici e con una sezione di artiglieria da montagna. Non vi erano collegamenti tra le compagnie ed i plotoni per la deficienza dei mezzi e per l’asperità del terreno.
La riserva, a Casera Pal Piccolo di sotto, a più di un’ora di cammino dalla prima linea, due plotoni del XX battaglione, distava più di un’ora di cammino disagevole dalla prima linea.

3. Il combattimento del 14 giugno 1915
La notte sul 14 giugno le posizioni del Pal Piccolo furono sottoposte ad un intenso bombardamento da parte degli austriaci, che verso le 3:30 della mattina si fece tambureggiante.
Alle 6 iniziò l’attacco delle truppe nemiche che durante la preparazione di artiglieria avevano risalito i canaloni che adducevano alla vetta (quota 1.866) ed al settore di sinistra.
I finanzieri non disponevano di trincee ben definite né avevano avuto i mezzi e gli attrezzi per poterle scavare: si dovettero adattare nelle infrattuosità naturali del terreno o dietro a spuntoni di roccia, che non fornivano difesa contro i colpi dell’artiglieria e non consentivano un ottimale campo visivo o di tiro. Del tutto assenti erano i reticolati o gli sbarramenti artificiali.
L’attacco, concentrato e ben diretto, si abbatté sulla 23ª compagnia ed in particolare sul plotone di sinistra, comandato dal maresciallo Carrara. Il reparto resistette dapprima con fortuna, nonostante i molti feriti, fra i quali il comandante della compagnia capitano Del Litto e lo stesso maresciallo Carrara (7).
Ma il nemico, insistendo con forze prevalenti riuscì ad incunearsi al centro del reparto, ed a sboccare a tergo della posizione difensiva, aggirando i difensori della prima linea che in parte vennero annientati, in parte presi prigionieri ed in parte dispersi verso valle.
La situazione divenne subito critica anche per il comando del battaglione, ove il maggiore Macchi si trovò accerchiato con pochi uomini a disposizione, con i quali però a lungo tenne testa agli austriaci.
Poiché l’attacco era fallito nel settore tra il Pal Piccolo e Freikofel, per l’energica e strenua difesa delle posizioni del XX battaglione (8) che aveva inflitto gravi perdite all’avversario, tutti i rinforzi austriaci vennero avviati ad ovest della cima (si trattava di un battaglione di truppe di montagna, rinforzato da un altro battaglione di fanteria). Gli austriaci dalla breccia nel dispositivo italiano dilagarono nelle conca di Casera Pal Piccolo di sopra, accerchiando il plotone centrale del tenente Naso, che venne catturato assieme a tutti i finanzieri che non erano caduti in combattimento e minacciando di aggiramento il plotone di destra, che presidiava la cima del Pal Piccolo, che dovette perciò ritirarsi su posizioni retrostanti.
Il combattimento sulla prima linea durò ancora per alcune ore: si trattava, in effetti, di un rastrellamento di militari isolati, che però si difendevano accanitamente, riparati negli anfratti e che provocarono consistenti perdite agli austriaci.
Il maggiore Macchi, pur accerchiato, continuò a battersi con estremo valore con i pochi uomini che gli erano rimasti accanto, finché più volte ferito, rimase sul terreno col moschetto ancora in mano, colpito da una scheggia di granata.
Nel frattempo l’allarme era giunto a Casera Pal Piccolo di sotto, ove era schierata la riserva di settore, al comando del capitano Poniatowski, comandante della 63ª compagnia che, radunati circa 40 uomini, si mise in marcia verso la zona ove fervevano i combattimenti. Durante il percorso incontrò il plotone del tenente Minerba, che si era ritirato dalla vetta del Pal Piccolo per non essere tagliato fuori dall’azione nemica e 20 uomini sbandati del plotone di sinistra e con essi costituì la linea difensiva lungo le piccole alture che circondano da sud e da ovest la conca centrale del Pal Piccolo.
L’attacco nemico puntava a sfondare verso sud, in un’area rimasta scoperta per l’annientamento del plotone di sinistra della 23ª compagnia, e quindi la preoccupazione maggiore del capitano fu di ricostituire una linea difensiva arretrata in quella direzione. Vi riuscì, però a prezzo di consistenti perdite in morti e feriti.
Nel pomeriggio, con l’afflusso di numerosi reparti degli alpini provenienti da Timau, venne organizzato un contrattacco, che però non ebbe esito perché gli austriaci avevano rafforzato la dominante cresta sommitale del Pal Piccolo, dalla quale con tiri incrociati di mitragliatrici e fucileria frustravano ogni tentativo degli italiani di procedere.
Comunque a sera venne ristabilita una salda linea difensiva arretrata, che partendo dalla riconquistata quota 1.859 e passando per le posizioni orientali e meridionali della conca centrale fino a raggiungere la displuviale sotto quota 1.819, era in grado di arrestare ulteriori spinte offensive degli austriaci. Subito dopo venne disposto di dare un turno di riposo alla compagnia del capitano Poniatowski, ma l’ufficiale chiese ed ottenne che i finanzieri rimanessero sul posto anche per i due giorni successivi.
L’azione nemica aveva ottenuto realmente un successo iniziale molto vantaggioso e, certo, inaspettato. Se immediati rincalzi fossero stati lanciati attraverso la falla apertasi nella nostra difesa, mentre la fronte est rimaneva seriamente impegnata, l’intero Pal Piccolo sarebbe caduto in potere al nemico, con gravissime conseguenze per gli italiani (9).
Ma il modo con cui si svolsero gli avvenimenti lascia supporre che l’azione avesse preso proporzioni più ampie di quanto il comando austriaco prevedesse e quindi, disorientato, nonostante il successo, predispose l’invio di rinforzi, ma troppo tardi e forse più per fronteggiare un contrattacco, che per spingere in profondità l’offensiva e valorizzare i vantaggi ottenuti.
Il comando della zona Carnia ordinò di tentare la riconquista della cresta sommitale del Pal Piccolo, ma l’azione offensiva, ancorché molto ben preparata, svoltasi il 30 giugno, fallì perché gli austriaci avevano fortificato le loro posizioni rendendole imprendibili.
E tali rimasero fino ad ottobre del 1917, quando a seguito della rotta di Caporetto, le truppe italiane che presidiavano il monte furono costrette alla ritirata ad ovest del Piave.

4. Le polemiche originate dal fatto d’arme
L’insuccesso della giornata del 14 giugno 1915 sulla cresta sommitale del Pal Piccolo fu in effetti un episodio, sul piano tattico, di valore pressoché trascurabile nel corso della guerra 1915-1918, ma fu, però, il primo scacco subito dalle truppe italiane, in un periodo, quello dei primi giorni di guerra, durante il quale l’Esercito Italiano era all’offensiva e conquistava i territori che gli austriaci abbandonavano per ritirarsi su posizioni retrostanti, che poi, nel prosieguo della guerra, sarebbero risultate inaccessibili.
Tuttavia, mentre al Comando Supremo ci si illudeva su una possibile avanzata fino a conquistare l’alta Pusteria e la Conca di Lubiana, la notizia che nell’alta Carnia era stata perduta una striscia di terreno di circa un chilometro quadrato fece una pessima impressione ed originò una immediata richiesta di chiarimenti ai comandi intermedi.
Le cause dell’avverso svolgimento dei combattimenti sul Pal Piccolo andavano ricercate anzitutto in carenze di comando del settore dell’Alto But.
Era stato infatti ritenuto di presidiare l’area del Pal Piccolo con uno schieramento a cordone, poco più di una linea di osservazione, più raffittita ad est, ove 600 metri di linea erano presidiati dai 700 uomini del XX battaglione della Guardia di finanza, mentre ad ovest era più rada ed era presidiata da soli 200 uomini della 23ª compagnia dell’VIII battaglione. Tale schieramento sarebbe stato logico se a tergo ed a breve distanza, in grado di intervenire sulle prime linee in 20 minuti, mezz’ora al massimo, fossero state dislocate consistenti riserve. Invece, a tale funzione erano stati designati soltanto due plotoni per l’intero settore e comunque a distanza di molto superiore all’ora di cammino della prima linea.
Ulteriore errore del comando era stato quello di frammischiare i reparti: il maggiore Macchi, comandante del XX battaglione, era stato destinato ad un settore dal quale dipendeva solo la 23ª compagnia dell’VIII battaglione alla quale era stato sottratto un plotone inviato sul Pal Grande ed era stato assegnato un plotone proveniente da un altro reparto. Per contro il XX battaglione che controllava un tratto importante della linea era affidato al capitano più anziano e la riserva di settore era composta soltanto da due plotoni della Guardia di finanza.
Infine era noto al comando che i finanzieri impiegati in prima linea erano armati di solo moschetto, non disponevano di armi di reparto e nemmeno di bombe a mano individuali, che per la protezione dalle intemperie disponevano solo di una mantellina, tra l’altro di colore nero e non grigio-verde meno visibile dal nemico, e che il servizio di vettovagliamento era deficitario, per mancanza di salmerie.
L’esiguità del presidio della parte ovest del Pal Piccolo derivava, in effetti, da un errore di valutazione del Comando che aveva ritenuto naturalmente inaccessibile la posizione.
Era scontato che i comandi chiamati in causa cercassero di incolpare per lo scacco del Pal Piccolo i reparti combattenti, come purtroppo divenne consuetudine nel prosieguo della guerra, raggiungendo l’acme con lo sciagurato comunicato di Cadorna con il quale si addebitava la sconfitta di Caporetto alla "mancata resistenza dei reparti della 2ª armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico…" (10).
D’altra parte, la resistenza della 23ª compagnia non fu strenua come tutti si attendevano, ma ad attenuante del reparto va considerato che lo schieramento a cordone (anch’esso disposto dal Comando di Settore) per la natura molto frastagliata del terreno non dava possibilità ai singoli piccoli nuclei di difensori, di darsi reciproco aiuto, sicché un attacco concentrato di forti pattuglioni su un tratto di linea difeso da una decina di finanzieri, peraltro scossi da ore di intenso fuoco di artiglieria, non poteva non aver successo.
Aperta la breccia nel centro del plotone di sinistra, in quel momento privo del comandante maresciallo Carrara ferito da uno schrapnel ancor prima dell’assalto austriaco e trasportato nei posti di medicazione arretrati, un intero battaglione si infiltrò sul retro dello schieramento lineare accerchiando il plotone centrale del tenente Naso e costringendo il plotone di destra del tenente Minerba a ritirarsi su posizioni retrostanti.
I resti del plotone di sinistra si sbandarono e si ritirarono in disordine verso valle. Il maggiore Macchi, con pochi uomini resistette sui rovesci della prima linea abbandonata dal plotone Carrara, riuscendo a trattenere per lunghe ore il nemico che altrimenti avrebbe dilagato verso sud, soccombendo infine verso le ore 12, dopo cioè ben otto ore di disperata resistenza, ma consentendo ai rincalzi sopraggiunti almeno due ore dopo lo sfondamento, di ricostituire una linea più arretrata.
Le perdite della Guardia di finanza il 14 giugno ammontarono a 339 uomini, tra morti, feriti e dispersi. Gli sbandati fuggiti dalla prima linea furono meno di 40, la metà dei quali recuperati dalle truppe accorrenti da Casera Pal Piccolo di Sotto al comando del capitano Poniatowski del XX battaglione e riportati in combattimento.
La relazione del Comandante della Zona Carnia, che doveva giustificare le proprie deficienze di organizzazione della difesa, al Comando Supremo sulla partecipazione dei battaglioni VIII e XX della Guardia di finanza ai combattimenti del 10 al 14 giugno 1915 sul Pal Piccolo, non poteva quindi non essere fortemente negativa per i difensori. In particolare veniva criticata la solidità organica e la compattezza collettiva dei due battaglioni, anche se solo la 23ª compagnia aveva ceduto all’urto nemico.
Il Comando Supremo, pertanto, segnalava al Comando Generale del Corpo (11) che nei battaglioni sul Pal Piccolo aveva fatto difetto l’omogeneità sia nei riguardi dell’istruzione militare, sia, e principalmente, nei riguardi dell’attitudine e dell’allenamento alla guerra e specialmente in montagna. Lamentava, inoltre, che non erano affluiti, come auspicabile, ai battaglioni destinati ad operare in montagna i soli elementi sicuramente idonei a tale impiego, come può essere il finanziere originario delle regioni montane o che aveva prestato servizio lungo la frontiera alpestre.
Dimenticava il Comando Supremo che i due battaglioni erano definiti "costieri" perché inizialmente destinati a quel servizio e che proprio il Comando Supremo li aveva assegnati alla Zona Carnia, mentre i battaglioni "alpini" del Corpo, che corrispondevano alle anzidette caratteristiche erano stati inviati sempre dal Comando Supremo in zona di pianura o di collina.
Il Comando Generale incassava i rilievi del Comando Supremo, ma nella successiva risposta (12) non mancava di far rilevare che l’impiego dell’VIII e del XX battaglione era stato improprio e che nulla le autorità militari avevano fatto, sul piano logistico, per rendere i reparti maggiormente idonei al combattimento in montagna.
Però tra le truppe schierate nei settori contermini, principalmente formate da alpini originari della Carnia. Alcuni dei paesi vicinissimi al Pal Piccolo, da subito corse voce che un intero battaglione in preda al panico, si era sbandato e si era disperso senza combattere. Fu anche riferito di aver visto sventolare sulle posizioni italiane una bandiera bianca quale segno di resa, cosa che fu poi smentita. Le voci ancorché infondate, per un fenomeno di amplificazione consueto in guerra, si diffuse tra le popolazioni locali, ove ancor oggi persiste tra i valligiani.
Peraltro gli abitanti della valle del But, come tutte le genti delle zone di confine, da tempo immemorabile vedevano i finanzieri, colà stanziati per contrastare il contrabbando come loro nemici e come rappresentanti di uno Stato oppressore che ostacolava la possibilità di migliorare la propria condizione economica con i traffici di frontiera.
In Italia il fenomeno del contrabbando, specie di tabacchi, ha radici antiche. Esso era particolarmente diffuso, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale al confine italo-svizzero ed a quello italo-austriaco.
I contrabbandieri provenivano dai ceti più umili delle popolazioni delle aree di confine, come quelle dell’alta Carnia, e si dedicavano ai traffici illeciti non per arricchirsi,ma per sopravvivere, oppure per arrotondare i magri proventi dell’agricoltura.
I finanzieri che davano loro la caccia non si trovavano in condizioni economiche e sociali migliori.
Innanzitutto essi erano in gran parte di provenienza meridionale e si erano arruolati per sottrarsi ad un destino di fame e miseria, comune a quei tempi a gran parte delle regioni di origine.
Nelle zone di confine venivano ingiuriati e derisi perché ritenuti a torto il braccio armato di uno Stato che i contrabbandieri, e con essi l’intera popolazione, ritenevano ingiusto e prevaricatore, e che perseguitava coloro che, tutto sommato, si limitavano a trasportare merci da un luogo all’altro (e poco contava che tra i due luoghi passasse il confine) come sempre erano abituati a fare.
Questo stato di fatto originava una profonda frustrazione nei finanzieri, che invece agivano nella consapevolezza di compiere il loro dovere, peraltro in condizioni di estremo disagio. Essi, nei rari casi in cui dalle caserme isolate del confine potevano recarsi nel paese più vicino per un turno di riposo venivano ingiuriati ed insultati lungo le strade che percorrevano oppure nei locali pubblici nei quali entravano per riposarsi. Ovunque, quindi anche in Carnia, le risse con i paesani erano frequentissime, come pure i pestaggi dei contrabbandieri quando i finanzieri riuscivano a catturarli.
Nelle popolazioni a ridosso del Pal Piccolo il sentimento verso la Guardia di finanza non poteva essere benevolo e quando nel giugno 1915 giunsero le notizie trasmesse per via orale e quindi sempre più ingigantite e fantasiose, che i finanzieri sul Pal Piccolo avevano subito una sconfitta, l’esecrazione fu generale e di converso l’esaltazione degli alpini che "avevano turato la falla" divenne un’epopea, di cui nella valle del But si parla ancora oggi.
I sentimenti della popolazione locale del tempo risultano chiaramente dal diario di don Antonio Roja, parroco di un paese della Carnia (13), che usa un linguaggio intriso di evidente astio e rancore verso la Guardia di finanza, del tutto inopportuno e molto discutibile soprattutto perché espresso da un sacerdote.
Alla data del 21 giugno 1915, don Roja annota: " Raccontasi che il disastro della finanza fu assai grave ed a un certo momento seriamente fu temuta una invasione degli austriaci. Causa del disastro sarebbe stata la vigliaccheria di quel Corpo composto in gran parte di scioperati venduti non d’altro capaci che di conquistar donne ed appestar paesi. La dappocaggine da loro dimostrata in questa occasione ha procurato loro nell’ambiente militare vicino un sommo disprezzo; e per evitare malanni simili sono stati inquadrati con altra milizia… La notizia della rotta dei doganieri aveva fatto temere perfino ai tolmezzini di veder facce tedesche".
Alla data del 22 giugno aggiunse: "…raccontano che la famigerata finanza il dì della sua degna apoteosi gettava le armi, sbandatasi, fuggiva di qua e di là buttandosi a terra, mostrava in tutti i modi la propria sublime vigliaccheria, facendosi finalmente accordare quell’onore che si merita, e facendo (spero) comprendere anche alle autorità che un Corpo profondamente immorale non sarà mai valido sostegno per la Patria né capace di alcun atto di eroismo. Se lassù anziché austriaci con mitragliatrici si fosse trovata una bella compagnia di tedesche, l’entusiasmo e la prodezza dei doganieri si sarebbe fatta universalmente".
A riprova che sul fatto erano corse le voci più disparate e che la realtà era stata distorta a dismisura, don Roja, alla data del 27 luglio scrive: " Uno che ha combattuto a Timau racconta di esser vera gravità del fatto della famosa finanza avvenuto in Pal Piccolo, Freikofel e Pal Grande. Il disastro è dovuto anche al tradimento di un maggiore di artiglieria fratello di un generale austriaco. Costui più volte fece spostare i pezzi proprio quando era accertato il tiro ed in quel giorno disgraziato fece sospendere il tiro proprio quando era più indispensabile. Scoperta l’infame fellonia, è stato fucilato (14)". "Lassù, a pochi passi dalle schiere nostre e dalle austriache giace insepolto il cadavere di un capitano caduto nel combattimento e né i nostri né gli altri osarono andarlo a prendere per l’estrema vicinanza del nemico (15)".
Le parole di don Roja, del tutto inopportune e soprattutto basate su voci e chiacchiere assolutamente infondate provano, da un lato che il sacerdote parteggiava scopertamente per quella parte della popolazione dedita al contrabbando e come si è già esplicitato, vedeva nei finanzieri i rappresentanti di uno Stato rapace dedito solo ad imporre tasse e balzelli sui montanari che già per conto loro menavano vita grama, e dall’altro che in guerra i racconti di avvenimenti tramandati di bocca in bocca si arricchiscono di particolari esagerati e fantasiosi, man mano che si diffondono, difficili poi da sradicare dall’immaginario collettivo.

5. Conclusioni
La giornata del 14 giugno 1915 sul Pal Piccolo vide un fortunato attacco di due battaglioni austro-ungarici su un breve tratto di linea su terreno difficile, ma presidiato da esili forze, assoggettate per ore ad una preparazione di artiglieria che fu la prima di così alta intensità su posizioni italiane nella prima guerra mondiale.
Non c’è da stupirsi quindi che i pochi difensori, sul punto attaccato meno di un plotone, non abbiano retto all’urto, anche perché non supportati, a causa del terreno compartimentato, dai difensori contermini e dall’artiglieria amica che non effettuò alcun intervento.
Aperta una breccia, gli attaccanti soverchianti in numero non ebbero difficoltà ad aggirare i due restanti plotoni della 25ª compagnia, dando solo ad uno di essi il tempo di ritirarsi su posizioni retrostanti e catturando il secondo dopo che i difensori erano stati messi in condizioni di non nuocere.
Quanto al plotone direttamente attaccato, in parte fu distrutto sul posto ed in parte si sbandò, scosso da ore di bombardamento e dall’inusitata violenza dell’assalto nemico che i finanzieri, alcuni dei quali mai saliti nemmeno per escursioni a quelle quote, non erano preparati a sostenere.
A poche decine di metri, in posizioni retrostanti, però, un piccolo nucleo di finanzieri, animati dall’eroismo del maggiore Macchi, si batté disperatamente per ore, prima di essere sterminato, trattenendo il nemico irrompente e dando tempo alle riserve, troppo esigue e tenute a troppa distanza dalla prima linea, di intervenire per bloccare le infiltrazioni nemiche su una seconda linea.
Può ben dirsi che la difesa, nelle condizioni in cui si trovavano i finanzieri, era impossibile.
Erano stati fermi a valle per un mese prima di essere inviati a presidiare posizioni sconosciute, ma nel frattempo non si era provveduto a sostituire le mantelline nere di cui erano ancora equipaggiati.
Non si era pensato di inviare prima gli ufficiali ad effettuare una ricognizione sulla linea da occupare, sicché nessuno aveva un orientamento sul terreno da presidiare e non si ricordò che i due battaglioni costituiti per la difesa costiera non erano equipaggiati per la montagna e che le loro dotazioni logistiche erano limitate a 7 muli per battaglione con poche marmitte per il vitto. Eppure questi finanzieri, che sostituivano agguerrite truppe alpine, messi in linea dopo 40 chilometri di marcia senza neppure sapere dove si trovasse il nemico, non chiesero nulla ed affrontarono coraggiosamente il nemico. Quasi tutti richiamati dalla vita civile con alle spalle pochi giorni di addestramento, essi non conoscevano bene il nuovo moschetto modello 91 loro assegnato, che era diverso dal Vetterly già adoperato in pace.
Nonostante le giberne quasi vuote per aver esaurito le munizioni e la mancanza dei mezzi più elementari per vivere e combattere a 2.000 metri sul livello del mare, questi militari, difesero il Pal Piccolo, tranne poche e giustificate eccezioni, con grande onore.
Il bilancio della giornata, d’altra parte dimostra che l’episodio del Pal Piccolo deve essere annoverato tra i fasti della Guardia di finanza.
I morti subiti furono 68, 176 i feriti, 95 i prigionieri su 600 uomini impegnati in battaglia, mentre le perdite degli austriaci furono di 190 morti e 490 feriti. Le sette medaglie d’argento di cui due alla memoria, le dieci di bronzo (due alla memoria) e le numerose croci di guerra al valor militare concesse ai finanzieri che avevano combattuto il 14 giugno 1915 sul Pal Piccolo attestano con quanto valore e tenacia i militari del Corpo difesero quel remoto angolo della Carnia e quanto infondate ed in malafede siano le opinioni contrarie di coloro che senza conoscere la realtà dei fatti diffusero voci calunniose a loro carico.

Il Presidente del Museo Storico della Guardia di Finanza
Generale di Corpo d’Armata Luciano Lucani


1. Ministero della Guerra, "L’Esercito italiano nella grande guerra", vol. II, "Le operazioni nel 1915, Roma, 1929, p. 3.

2. Ibidem, pag. 56;

3. Ibidem, p. 124 e seguenti;

4. Fritz Weber, uno storico austriaco, che fu ufficiale di artiglieria durante la Grande guerra, nel libro "Guerra sulle Alpi", Mursia, p. 126 e seg., chiarisce il motivo per il quale il Pal Piccolo era stato occupato dagli austriaci all’inizio del conflitto. Anche la relazione ufficiale italiana segnala che il 26 maggio 1915 si svolsero combattimenti per la riconquista della linea di cresta del Pal Piccolo, che costituiva anche il confine di Stato. Se ne deduce che gli austriaci avevano occupato in precedenza il territorio italiano, ma nulla risulta dalla relazione stessa. Il piccolo mistero è chiarito da Fritz Weber, come segue: "Intanto sul Pal Piccolo, ad occidente del passo (di Monte Croce Carnico, n.d.r.), si è svolta una tragicommedia che sicuramente non ha pari nella storia della 1ª guerra mondiale. Il compito di organizzare i volontari carinziani nella Val Gail superiore era stato affidato ad un certo capitano Gressel, un ufficiale di carriera che si trovava a casa perché convalescente di una grave ferita. Ma il capitano Gressel era anche proprietario di una casa sul passo Monte Croce Carnico, di una gran parte di terreni adiacenti, di beni immobili a Mauten ed infine di alcune segherie, nei quali prima della guerra lavorava molta gente <dell’altra parte>, principalmente di Timau. Tutti costoro conoscevano bene il capitano, che però ai loro occhi era molto meno l’ufficiale austriaco che il ricco possidente e datore di lavoro. La guerra divide in due tutta questa gente. Gli italiani hanno da tempo armato nella zona di confine gli uomini abili al servizio, impartendo un preciso ordine per il momento dello scoppio del conflitto: occupare il maggior numero possibile delle cime più importanti e tenerle sino all’arrivo delle truppe regolari. Allo stesso modo naturalmente intendono agire i volontari carinziani, che pensano soprattutto al Pal Piccolo, al Pal Grande ed al Freikofel che si trova nel mezzo. Ma per loro il cammino da percorrere è più lungo di quello dei cugini e dei conoscenti di Timau. Quando arrivano sul Pal Piccolo ci trovano già gli altri, armati di tutto punto e col cappello alpino in testa. D’acchito nessuno spara. E’ difficile sparare su un gruppo dove si trovano parenti e compagni di lavoro. Ma litigare, far valere con le parole i propri diritti su questa terra, questo si può. Si sviluppa così una imponente battaglia verbale, nella quale non mancano pittoresche espressioni del più antico repertorio. Non fa male a nessuno e nessuno ne soffre. Però non decide a chi spetta il possesso del monte, ed il tempo stringe. Un carinziano sparisce e correndo arriva a Mauten dall’unica autorità del posto, il capitano Gressel. Questi si fa sellare il cavallo, trotta fino al Passo di Monte Croce e poi sale, come il suo stato di salute glielo consente fino al Pal. Quello che ora accade lassù è presto detto. Come gli aitanti alpini di Timau scorgono il capitano, si levano il cappello e danno il buongiorno. Ma Gressel esclama sbuffando: "Cosa fate quassù voialtri? Guardate di sparire all’istante!". E quelle brave persone si mettono il fucile in spalla, si tolgono ancora una volta il cappello ed abbandonano il campo di battaglia. Fu una vera vittoria dell’Autorità."

5. Guido Aviani, Fulvio e Roberto Lenardon "1915-1918 Alpini e Austriaci sulle vette", Aviani editore, p.18;

6. F. Weber, "Guerra sulle Alpi", cit., p.135;

7. Biglietto di comunicazione al Comando Settore del maggiore Macchi alle ore 4:30;

8. Archivio Storico del Museo Storico della Guardia di Finanza, d’ora in poi A.S.M.S.G.F., diario del tenente Mastrolonardo, busta n. 479, fascicolo n. 9;

9. Generale Guido Poggi , "Un anno di guerra al Pal Piccolo", Rivista Militare, aprile 1929, p. 533 e seguenti;

10. M. Silvestri, "Caporetto", Bur, 2003, p.199;

11. Relazione n.1085 in data 4 luglio 1915, custodita nell’A.S.M.S.G.F., busta 479, fascicolo 2;

12. Lettera n. 3037 R.S. del 21 luglio 1915, in A.S.M.S.G.F., busta 479, fascicolo 2;

13. AA.VV. "Ma i generali dormivano? Il marmocchiume si è messo a giocare alla guerra", editore Gasperi, maggio 2003, citato nell’articolo di Gira, "Appunti riguardo ad uno strano episodio avvenuto sul Pal Piccolo nel giugno del 1915 e che ha come protagonista una compagnia della Guardia di finanza", in www.cimeetrinceee.it/finanza.htm;

14. Il fatto non trova riscontro nella realtà e dimostra come la voce pubblica amplifica e arricchisce di circostanze inventate avvenimenti che colpiscono l’immaginario collettivo;

15. Si tratta evidentemente del corpo dell’eroico maggiore Macchi, che era rimasto insepolto fra le due linee avversarie e che venne alcuni mesi più tardi recuperato con un’audace uscita dalle nostre linee del tenente Valesio della 72^ compagnia del battaglione alpini Tolmezzo.