Storie dei nostri veci |
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TIZIANO MONTESEL |
Giugno 2014
Torre Belvicino, Vicenza, 9 settembre 1943, ore 9 del mattino.
Arrivò in caserma una camionetta carica di militari tedeschi e un sottotenente degli alpini inquadrò me e tutti i miei compagni per comunicare che saremmo rientrati nella caserma di Schio per riconsegnare le armi per poi tornare ognuno a casa sua. Nessuno di noi capiva che cosa stava succedendo ed eravamo tutti impauriti per quello che in realtà sarebbe successo da lì a poco.
Infatti, in quello stesso giorno, con delle corriere che ci stavano aspettando, siamo stati spediti a Mantova dove siamo stati scaricati in un campo di prigionia con un'alta recinzione e postazioni armate a ogni angolo. Da lì non si poteva scappare ... eravamo prigionieri! Eravamo tra i 20 e i 30 mila in quel campo, tutti militari dei vari corpi. Siamo stati trattenuti lì per 2 settimane, consumando pane e acqua, a patto di avere la pazienza di stare in coda per ore per avere la propria razione.
26 settembre 1943.
All'interno del campo vennero chiamati tutti gli alpini. Fummo inquadrati e messi in riga per marciare fino alla stazione dei treni dove
ci fecero salire su carri bestiame.
A Treviso la prima sosta e
già qualcuno di noi cominciava a pensare alla fuga, a scappare da quel treno che sicuramente ci avrebbe condotto ...
chissà dove!? .. ma probabilmente verso la morte. La sosta a Treviso fu troppo breve per permettere di pensare a
qualche strategia di fuga. Poi il tragitto fino a Conegliano. Qui il militare tedesco che vigilava il nostro vagone
aprì la porta per permettere ad alcune donne che erano lì in stazione di porci un cesto d'uva. Ricordo che ne presi un grappolo e ne mangiai due chicchi, poi rimisi il grappolo
nel cesto e mi guardai intorno. Guardai fuori e vidi che il
militare tedesco si era allontanato di qualche passo dal nostro vagone ...
Era il momento buono per tentare la fuga: mi calai in mezzo alla gente che stava salutando i prigionieri sul treno, mentre il tedesco continuava a darmi le spalle, camminai verso il centro della stazione, mi avvicinai ai servizi e, dopo un'ultima occhiata, scavalcai la ringhiera per calarmi nel sotto passo stradale con un salto di circa quattro metri.
Dall'altra parte del tunnel passante sotto i binari c'era una scuola. La porta era aperta e dava subito su una scala che portava al primo piano. In fondo al corridoio, dalla parte opposta rispetto alla stazione, c'era una specie di camera da letto; era aperta e vi entrai e con me entrarono altri sette alpini, anch'essi fuggiti dal treno, tra i quali il mio caro amico e compaesano Aldo Trentin.
C'era un letto in quella camera e vi rimanemmo seduti per dieci interminabili minuti col cuore in gola, senza dire una parola ... aspettando il fischio del treno che doveva ripartire. Ma la paura di venire scoperti era troppa e allora dissi al mio amico Aldo che era meglio scappare da quel posto troppo vicino alla stazione e col pericolo che da un momento all'altro i tedeschi si accorgessero della nostra fuga. Senza dire una parola saltammo dalla finestra che dava sul retro della scuola e ci allontanammo dalla stazione scavalcando alcune recinzioni in rete metallica.
Poi via, verso la libertà.
Tiziano Montesel