Storie dei nostri veci

TONI COVRE E LO ZIO DI LIVIA

Maggio 2011


Su richiesta della signora Livia,
Toni Covre firma una copia di Centomila gavette di ghiaccio

TONI COVRE E LO ZIO DI LIVIA

Gli alpini che non riuscirono a tornare a casa e caddero a migliaia percorrendo l'interminabile steppa dal Don all'Oskol nel gelido inverno russo del 1942-43, sepolti per sempre sotto la neve lungo le piste ghiacciate. Quelli che, fatti prigionieri, caddero nelle marce estenuanti o nei vagoni dove erano stipati come bestie o nei lager, dove arrivavano laceri e congelati, finiti dalla fame o dalle malattie, inghiottiti nel nulla. Le testimonianze ci raccontano che tanti morirono chiamando la loro mamma.
Ecco, le madri appunto.
Tanti erano poco più che adolescenti, tanti avevano la morosa, qualcuno aveva una moglie, qualcuno anche un figlio. Tutti avevano una madre.
Spesso ci dimentichiamo che questa tragedia portò con sé migliaia e migliaia di altre tragedie, quelle delle madri che non si rassegnarono, che chiesero, che si affollarono ai treni che rientravano dalla Russia, che aspettarono sempre, fino alla morte.
Quelli che non tornarono più: la morte cristallizzò ogni sofferenza, rese definitivo il loro sacrificio. Il dolore delle madri che li aspettavano a casa non si estinse mai.
Per le madri tutto cominciava vedendo il figlio partire per il fronte, seguivano poi con l'anima l'ignoto peregrinare in quelle terre lontane e sconosciute, già presagendo il dramma, poi la disperazione quando la tragedia si impiantava nel cuore e l'attesa interminabile diventava lacerante sofferenza.

Livia Zampieron, Rossano Veneto (VI), era bambina quando vedeva la nonna passare le ore sotto il portico del cortile con il rosario in mano e lo sguardo fisso sul cancello che dava alla strada. Lei si avvicinava alla nonna, ne coglieva tutta la pena, mai riusciva a scalfire la tristezza di quello sguardo che non si staccava dalla strada e si perdeva lontano, come se aspettasse qualcuno che doveva arrivare. Qualche volta la nonna rompeva il suo silenzio ed invitava la bambina a dire una preghiera, una sua piccola preghiera, affermava, contava certo più di un intero rosario perché era la preghiera di un angelo.
Una volta Livia chiese per chi fossero quelle preghiere e la nonna confessò che erano per zio Giuseppe, partito per un posto lontano e mai più tornato. "Nonna quando sarò grande andrò io a cercarlo" - cercò di consolarla la bambina. Livia non vide mai la nonna piangere ma le parve che tutti i suoi giorni fossero un unico pianto senza lacrime.

Livia Zampieron non ha mai dimenticato il dolore dell'attesa della nonna e negli anni si è avvicinata ai reduci di Russia, ascoltando e dando voce alle loro storie. Per lei ogni reduce è zio Giuseppe, quello zio che non è più tornato e non ha mai conosciuto. Dedica parte del suo tempo a quelli che non hanno più nessuno, un incontro, una visita, una parola per rompere la loro solitudine. Livia conosce tutte le pubblicazioni che hanno raccontato la tragedia degli alpini in Russia e leggendo tempo fa la storia di Toni Covre, l'attendente di Bedeschi, uno dei personaggi di Centomila gavette di ghiaccio, è rimasta colpita dalla vicenda che seguì la pubblicazione del libro, da quella appendice di straordinaria amicizia ed umanità.
Ed ha voluto incontrarlo.
I ricordi di Covre e della moglie sono andati al dopo Russia, quando i protagonisti di quella storia si persero di vista ed ognuno andò per la propria strada rincorrendo mete meno drammatiche del tentativo si uscire dall'accerchiamento dei russi, meno drammatiche ma non meno impegnative.
Le strade di Covre si persero al di là dell'oceano, in terre ancor più lontane della Russia. Anni di duro lavoro in Argentina fino al giorno in cui un amico venne a trovarlo con un libro dove si raccontava della Russia, con la pagina aperta sulla storia di un attendente che per far prima a montare la tenda del suo tenente picchiava sui paletti con le mani nude: "qui c'è scritto Toni Covre, mica sarai tu?" ...
Il resto della storia è noto a tutti. Per l'interessamento di Bedeschi la famiglia Covre poté rientrare in Italia: di nuovo l'oceano, con le stesse valigie di cartone con cui erano partiti. E l'amicizia nata in terra russa tra il tenente medico ed il suo attendente divenne l'amicizia di una vita.

Livia aveva promesso alla nonna che avrebbe trovato lei lo zio. E dopo anni di ricerche lo trovò. Trovò il suo nome in un elenco, all'indomani del crollo dell'Urss, quando gli archivi sovietici vennero aperti alla ricerca del Commissariato per le onoranze dei caduti in guerra e alla pietà dei parenti. Livia scoprì che zio Giuseppe, classe 1918, alpino della Divisione Julia. assieme ad altre migliaia di italiani aveva chiuso i suoi giorni nell'inferno del campo 56 di Ucistoje.
Ma intanto la nonna se n'era andata da tanto tempo, fino all'ultimo giorno con il rosario in mano ad aspettare quel figlio che non tornava, anni di pianto senza lacrime e gli occhi persi sulla strada. Oltre il cancello. (f.)