ROSSOSCH 10° ANNIVERSARIO |
Dicembre 2003 |
Nel 10° anniversario
dell’inaugurazione |
GLI ALPINI DI CONEGLIANO A ROSSOSCH PER INAUGURARE UN PARCO GIARDINO
di Giovanni Lugaresi
(dal Gazzettino - agosto 2003)
Un'altra piccola
impresa, dopo quella straordinaria di dieci anni fa, per onorare i caduti di
Nikolajewka, è quella promossa dalle penne nere dell'Ana, e in particolare
da quelle della sezione di Conegliano, come vedremo.
A dieci anni dalla inaugurazione dell'asilo nido-scuola materna per 150 bambini nella cittadina
della Russia meridionale ad un centinaio di chilometri da luogo dove si
combatté l'epica battaglia, infatti, ecco la realizzazione di un
parco-giardino, che sarà inaugurato domenica 14 settembre 2003. Quel giorno non
ci sarà l'avvocato Peppino Prisco, tenente, medaglia d'argento al valor
militare in quella campagna di guerra, così come non ci sarà Sante
Cietto da Solighetto, che in quella guerra non combatté, ma che all'Operazione Sorriso aveva
da to un contributo
straordinario: capocantiere per ben otto turni per la realizzazione di quell'impresa di pace che fu, appunto,
l'asilo di Rossosch: monumento dell'Ana ai
caduti in Russia, nel cinquantennale della battaglia di Nikolajewka, eloquente
segno di pace e di amicizia nei confronti dei nemici di ieri.
Abbiamo citato i nomi queste due penne nere che - come si dice nel linguaggio degli alpini - sono «andate
avanti», perché entrambe emblematiche di quella straordinaria operazione,
nella quale lavorarono fianco a fianco alti ufficiali in congedo e semplici
soldati, professionisti di alto livello come Prisco, e umili capicantiere
come Cietto, appunto. E anzi, a volte, con gli umili capicantiere che
impartivano ordini ai più alti in grado e ai più "importanti"
come status sociale, culturale, eccetera eccetera. L'avvocato Prisco è
scomparso quasi due anni fa; Cietto, da pochi mesi. E con loro altri alpini
«sono andati avanti», e non ci saranno per questo decimo anniversario
della inaugurazione dell'asilo nido di Rossosch. Ma saranno presenti altre
penne nere, veci e bocia, per una manifestazione sentitissima e
significativa. Sì, perché dieci anni dopo quella eccezionale realizzazione
(il progetto era di tre alpini bassanesi: il presidente della sezione Ana
Montegrappa, geometra Bortolo Busnardo, e i suoi nipoti Favero, l'ingegnere
Sebastiano e l'architetto Davide) e dopo che per diverso tempo l'Ana
aveva provveduto alla manutenzione dell'edificio, ecco un'altra bella
novità.
Lino Chies da Conegliano, uno dei componenti (con Ferruccio Panazza,
Cesare Poncato e lo stesso Busnardo) la commissione Ana che aveva portato
avanti l'Operazione Sorriso, proprio nel gennaio scorso, nel 60° anniversario della battaglia di
Nikolajewka, aveva avanzato al presidente
nazionale delle penne nere Giuseppe Parazzini la proposta di realizzare un
parco-giardino proprio davanti all'edificio dell'asilo per
"ingentilire" l'area. L'Ana avrebbe messo i soldi, ma questa volta
gli alpini non avrebbero lavorato, per lasciare spazio alla manodopera
locale.
La proposta non
poteva non trovare il pieno consenso dei vertici dell'associazione e di
tutte le penne nere. Così, il ritorno, previsto dal 9 al 15 settembre prossimi a Rossosch, per il decennale della inaugurazione dell'asilo, non sarà un
puro e semplice incontro fra italiani e russi, ma una ulteriore
testimonianza di quell'amicizia scarpona che, come ben sappiamo, non conosce
confini.
Nel parco (che si estende su di un'area di oltre tremila metri quadrati) farà bella mostra di
se un monumento, una scultura inneggiante all'amicizia fra i popoli,
progettata dalla penna nera bassanese Michelino Fabian. Naturalmente, alla
inaugurazione del parco-giardino con verde e fiori sarà
presente il consiglio nazionale dell'Ana al gran completo e si ripeterà il
viaggio-pellegrinaggio di dieci anni or sono. Anzi, in questa occasione
saranno diversi i viaggi promossi da alcune sezioni Ana, oltre che dalla
sede centrale. Un gruppo speciale partirà da
Verona, un altro da Vicenza, ma l'avvenimento clou, per così dire (dopo, s'intende, l'inaugurazione dell'opera prevista per domenica 14 settembre), sarà
costituito (sabato 13) dal gemellaggio fra il Comune di Conegliano e quello di
Rossosch. Basterebbero soltanto il nome di Cietto e Chies, e la considerazione di quante penne nere coneglianesi lavorarono per la costruzione
dell'asilo, a motivare questa iniziativa. A volerlo, da parte coneglianese,
era stato un comitato spontaneo capeggjato dallo stesso Lino Chies,
ovviamente, che aveva ricevuto positiva risposta dal sindaco Floriano Zambon e da tutta l'amministrazione. Ma le ragioni valide per il
gemellaggio
sono diverse. Quanto alla campagna di Russia, va ricordato che il
Battaglione Conegliano si sacrificò eroicamente, e quanto all'Operazione
Sorriso, va sottolineato che non soltanto tante penne nere della sezione Ana
coneglianese prestarono la loro opera gratuita dieci anni fa nel rapporto di
pacificazione coi russi, ma anche molte realtà aziendali locali si
mobilitarono per favorire l'iniziativa. Saranno in tanti, quel giorno, i
coneglianesi a Rossosch.
Giovanni Lugaresi
ROSSOSCH
13/14 SETTEMBRE 2003
SUL DON E A ROSSOSCH NEL DECENNALE DELLA REALIZZAZIONE DELL’ASILO
Una meravigliosa ed indimenticabile esperienza
Gemellaggio tra le città di Rossosch e Conegliano
Verso la fine del mese di Maggio 2003, insieme ad altri Alpini della Sezione di Conegliano, al
nostro Sindaco e a membri della Giunta Comunale, decidemmo di istituire un
Comitato spontaneo per il gemellaggio tra il nostro Comune e quello di Rossosch,
Russia. Già da tempo le due comunità si parlavano a tale scopo, con
l’evidente volontà di coronare un’amicizia nata, paradossalmente, almeno 60
anni fa, quando nella cittadina russa risiedeva il Comando Truppe Alpine di
quella che sarebbe diventata tristemente famosa come “Campagna di Russia”.
Espletate le formalità burocratiche relative ai documenti per il gemellaggio,
si stabiliva che tale avvenimento dovesse essere legato a delle ricorrenze molto
importanti per il nome di quella Città.
Infatti, ricorre quest’anno il 60° anniversario della ritirata di Russia
(1943) che vide concretizzarsi in numerosi atti di eroismo, riconosciuti anche
dal Nemico di allora, quella che forse è una delle maggiori tragedie delle
nostre Forze Armate. Ricorre inoltre quest’anno il 10° anniversario della
donazione da parte degli Alpini italiani dell’asilo alla città di Rossosch.
Una struttura che è diventata punto di riferimento per l’intera Russia, senza
enfasi e che, anno dopo anno vince premi in ambito costruttivo, quale esempio da
imitare e seguire. Inoltre, combinazione ultima, ricorre l’80° anniversario
del conferimento di status di “Città” da parte dell’Amministrazione Russa
alla città di Rossosch.
Tale insieme di avvenimenti è stato concentrato in una grande festa cittadina
che ha avuto il suo culmine nel fine settimana del 13 e 14 settembre 2003.
È stato commovente. Vorrei descriverVi qui quella che per me, abituato da
sempre a viaggiare, è stata una delle esperienze più toccanti degli ultimi
anni.
Partiamo da Conegliano in auto per l’aeroporto di Venezia Giovedì 11, mattina
presto. Lì troveremo il volo che ci porterà a Milano Malpensa, dove su un
aereo quasi interamente “Alpino” andremo fino a Mosca. Posso garantirVi che
girare negli aeroporti con il cappello alpino in testa suscita più di qualche
curiosità e simpatia, soprattutto negli stranieri che ancora non ci conoscono
e, timidamente, si avvicinano per chiederci il significato del nostro copricapo
e il motivo del nostro viaggio in Russia. Senza distinzione di nazionalità,
americani, arabi, ebrei, orientali, tutti sinceramente apprezzano la nostra
breve spiegazione. Qualcuno ci dà anche il proprio biglietto da visita,
chiedendo di poter fare qualcosa nel suo Paese, per la sua Gente. Parecchie sono
le richieste di foto e i sorrisi di simpatia. Partiamo ed al check-in troviamo
il Presidente Nazionale Parazzini, insieme ad un nutrito gruppo di bresciani,
bergamaschi, altri veneti e altri alpini di altre regioni. Ci sono già i primi
reduci, con quello stemma sul cappello che incute rispetto e onore.
Mosca. Aeroporto Internazionale.
L’ambiente cambia. L’arredamento sembra un po’ quello degli anni settanta
dalle nostre parti, ma,…, tant’è. Veniamo “provvisoriamente stivati”
presso l’uscita pedonale dell’aeroporto, dove, ufficialmente attendiamo
altri arrivi e i pullmans. In realtà stiamo sicuramente venendo schedati da
quell’insieme di persone in civile, facilmente riconoscibili che, senza tanta
discrezione, ci stanno facendo le “radiografie”. Sicuramente anche a loro
monta la curiosità su quel cappello così tanto spavaldamente ostentato.
Arrivano i pullmans. Sono sicuramente mezzi usati della Germania (si vedono
ancora le scritte tedesche) che ci porteranno verso il centro di Mosca, per
quella che sarà la prima visita della città. Il traffico è estremamente
caotico ed intenso. Arrivare al centro di Mosca, significa impiegare circa 1 ora
e mezza per fare 20 chilometri! Mosca: si vede che è la capitale di un
“impero”. Se nella periferia notavamo i palazzi dall’equilibrio precario e
dalla qualità di fabbricazione piuttosto scarsa, avvicinandoci al centro si
scorgono sempre più costruzioni importanti che ricordano i palazzi storici
delle vecchie città asburgiche. Le cupole delle chiese ortodosse sono quasi
sempre in oro puro. Costruzioni in pietra rossa, come il Cremlino, si alternano
a grandi palazzi ministeriali in marmo bianco o chiaro. La Piazza Rossa. Bella!
Rossa, in russo è l’equivalente di “bella” in italiano. La soddisfazione
di camminarci al centro con il cappello alpino in testa. Forse, 60 anni fa, più
di qualche ventenne l’avrà immaginata, la stessa scena. Forse il freddo della
steppa l’ha portato via con altri centomila, con i loro pensieri, con le loro
aspirazioni. Il primo assaggio del cibo russo lo abbiamo all’hotel Rossiah,
vicino alla Piazza Rossa, famoso per i suoi 6.000 posti letto! L’impatto è
positivo. Il mangiare è buono, soprattutto se condito da buon vino rosso della
Georgia o della Moldavia. Ma attenzione: alle 21.00 parte il nostro treno per
Rossosch. Alla stazione! Qui qualcosa inizia a farci sentire l’odore della
vera Russia. Le etnie alla stazione sono le più diverse: slavi, mongoli, centro
orientali…
Il nostro treno “speciale” ci aspetta sul binario con tutto il personale in
alta uniforme. Spicca, sulle uniformi russe il grande cappello a “pizza” il
cui colore cambia in funzione dell’arma o dell’ente di appartenenza. Il
treno è veramente pulito e, nelle cuccette a quattro letti preparati con
lenzuola di cotone, ci sono addirittura i vasi con i fiori veri dentro! Usciamo
da Mosca con il buio della sera. Ci aspetta un viaggio di quasi 15 ore per circa
700 chilometri! La compagnia è ottima ed il morale della truppa è alto. La
notte corre veloce e l’amicizia si stringe, aiutata anche da qualche
“fialetta” di grappa storica. L’alba ci vede incollati ai finestrini. Il
paesaggio è decisamente cambiato. Sembra di essersi svegliati nel corso di un
viaggio all’indietro nel tempo e quello che vediamo è forse la nostra storia
di 50 o 70 anni fa. Campagne estese incolte, desolazione. Vecchi e bambini con
un animale alla corda che pascola sulla scarpata della nostra ferrovia. Alle
stazioni anziane vestite alla meno peggio che con umiltà e timore ci propongono
i loro miseri secchi di latta di patate, carote, cipolle e qualche frutto. Il
tempo si è fermato. La ricchezza del centro di Mosca qui non esiste per niente.
Povertà. Disordine nei piccoli paesi attraversati. Restiamo muti spettatori di
questo triste spettacolo. Dov’è l’impero di una volta? Dov’è la Russia
che andava nello spazio con Gagarin? Le case, dacie o isbe, sembrano collassare
su se stesse. Ovunque eternit di copertura, se non paglia. Piccoli giardini con
erba incolta ed alta. Strade, quasi sempre deserte, polverose e desolate. Questo
panorama ci accompagnerà fino a Rossosch, dove, scendendo dal treno, un
comitato di benvenuto formato da donne in tipico vestito russo, ci offre
cantando il pane dell’amicizia. Una specie di torta salata dalla quale si deve
prendere un pezzo e mangiarlo in segno di apprezzamento. Il clima è festoso e
ne veniamo coinvolti. A tutto questo si aggiunge la bellezza delle ragazze
russe, della quale, noi maschi, veniamo particolarmente colpiti. È un dato di
fatto: le ragazze russe sono tutte, e ripeto tutte, bellissime. Non solo
fisicamente, ma anche nel portamento ed hanno, verso lo straniero, una
particolare predisposizione. Fa parte della loro cultura e della loro struttura
sociale: la donna, in Russia, lavora per la famiglia, per i figli, per la
comunità. I benefici sono per l’uomo che, tendenzialmente, non svolge chissà
quali grandi attività…
Rossosch è una Città che oggi conta circa 80.000 abitanti, adagiata, quasi
come un gatto, all’interno di una depressione del terreno, con le colline a
farne da barriera e a delimitarne i confini naturali dell’agglomerato urbano.
È una città che, grazie agli amministratori che la governano (dal Sindaco al
Presidente della Provincia stessa), si sta adoperando, anche grazie alle
iniziative del gemellaggio, per farsi conoscere al di fuori dei confini
nazionali e per poter, soprattutto dal punto di vista economico, diventare
un’attrattiva per investimenti esteri sul territorio.
La popolazione è particolarmente ospitale e gentile: durante la nostra
permanenza ci capiterà spesso di essere fermati per foto, per autografi (!),
per portare testimonianze di un grande senso di ammirazione verso di noi. Un
rispetto che, i più anziani dicono sia nato ancora con gli ottimi rapporti con
le nostre truppe “diverse” dalle altre occupanti, 60 anni fa. Un rispetto
consolidato dalla testimonianza dell’asilo degli alpini, opera di cui tutti i
rossosciani vanno fieri e che campeggia sulle cartoline locali così come sulle
brochures informative sulla città. Un rispetto che spesso imbarazza e che può
mettere a disagio il visitatore straniero, quando si trasforma in disponibilità
a qualsiasi cosa, pur di avere un lasciapassare fisico verso un mito mediatico
rappresentato dall’ovest, da quella che per noi era l’America e che per loro
siamo noi. Certo, il cappello alpino in questa città è ben conosciuto anche
grazie al lavoro delle insegnanti di lingua italiana che regolarmente dal nostro
Paese si recano in Rossosch per i corsi dedicati alle future traduttrici locali.
È conosciuto per il lavoro del professor Morozov che, con il suo museo,
nell’interrato dell’asilo ha raccolto tutte le testimonianze possibili
(anche interessanti strumenti di propaganda italiana del tempo) relative a
quella che noi chiamiamo la “campagna di Russia”. È conosciuto ora anche
per il monumento stilizzato in acciaio che troneggia al centro del parco che,
nell’anniversario dell’asilo, è stato ora “sistemato” e reso agevole
per i locali, per il loro godimento. Il cappello alpino qui è onorato e
rispettato e, per i rossosciani, fa parte del panorama urbano. Con gentilezza più
di qualche russo chiede di poterlo indossare o di farsi fotografare assieme.
Ma il nostro è un viaggio carico anche di altri avvenimenti simbolici
importanti. Ed ecco la visita alla mitica “quota Pisello”, dove i reduci con
noi presenti ricordano la morte di compagni di plotone nei ripetuti assalti alla
postazione strategica. E sulla collina vicina, “quota Cividale”, più in là
le postazioni del “Tolmezzo”, con un capitano di Trieste, allora s.ten.
comandante di plotone, che racconta, quasi sottovoce le gesta eroiche dei suoi
alpini. Sotto di noi il Don e la sua mitica ansa. Il fiume si può solo definire
“placido”. L’acqua scorre lentamente in un alveo che non basta a
contenerlo quando, finito l’inverno ed iniziato il disgelo, tracima ovunque
sommergendo tutta la campagna circostante. Ci troviamo su di una specie di
altipiano dal quale partono verso una pianura sottostante circa 50 metri più in
basso le famose “balke”, ovvero i calanchi simili a quelli del nostro
Appennino emiliano che a più di qualcuno salvarono la vita consentendo di
nascondersi, quasi come una naturale trincea al nemico che premeva.
Il Don.
Sul fiume ci rechiamo per depositarvi sulle acque due mazzi di fiori in una
cerimonia improvvisata con il nostro presidente nazionale, il nostro Sindaco e
Lino Chies. I mazzi di fiori saranno due, uno dell’Ana ed uno del Comune di
Conegliano. Il silenzio della tromba fa correre i brividi lungo le schiene e le
lacrime bagnano gli occhi e rigano i volti. Molti si fermano a raccogliere
simbolicamente la terra fertilissima di questa ansa, calpestata, sopra la neve
da chi disperatamente voleva tornare a casa. La commozione si sente nell’aria
e pochi parlano fino al ritorno agli autobus.
Inizia con il venerdì sera la lunga serie di cene e pranzi ufficiali durante i
quali l’insidia peggiore è rappresentata dalla vodka che regolarmente i russi
seduti insieme provvedono a versare per i brindisi che, per tradizione ognuno
dei commensali è tenuto a fare. Gli occhi ora brillano per qualcosa di meno
serio… l’indomani, sabato, ci sarà il culmine dei festeggiamenti e la
delegazione dei “coneglianesi” viene invitata ovunque ci sia da brindare,
mangiare e presenziare. Viene siglato il gemellaggio. Nel frattempo, chi può
sottrarsi a questo assalto di colesterolo ed a questo tripudio di trigliceridi,
ha la fortuna di visitare i posti purtroppo entrati nella leggenda della
ritirata di Russia: Nikolayewka, Nova Kalitwa, Arnautovo, … ovunque la
tragedia si respira ancora nell’aria, sessant’anni dopo. Il terrapieno della
ferrovia, il ponte, unico passaggio per la redenzione, avanti, a morire.
Narra un anziano del luogo che ne morirono 7.000 all’assalto di Nikolayewka.
La neve cadde subito dopo, coprendo la tragedia con il suo silenzio e con il suo
candore. Al disgelo fu un vero e proprio problema logistico trovarsi una simile
montagna di cadaveri ai quali dover dare sepoltura. Ecco anche un motivo perché
molti furono dichiarati dispersi e non fu sancita la loro morte per la pace
delle loro famiglie: furono infatti scavate enormi fosse comuni dove vennero
accatastati quanti più cadaveri possibile.
Domenica. È la giornata degli alpini che si ritrovano all’asilo con i labari
delle varie sezioni presenti, con i gagliardetti dei gruppi (ci sarà anche
quello del Gruppo Città) per la messa e per la cerimonia ufficiale di consegna
del nuovo parco antistante l’asilo alla città di Rossosch. Celebra Don Mario
Casagrande della parrocchia di San Pio X di Conegliano. La fanfara della sezione
di Brescia intona l’inno italiano e quello russo mentre due reduci (uno per
nazionalità) effettuano l’alza bandiera. Il pubblico composto di alpini,
delle loro famiglie e di una buona schiera di rossosciani intona gli inni ed
assiste rapito dalla cerimonia, alla quale partecipa anche il labaro nazionale
con il suo carico di medaglie d’oro. Viene intonato dalla tromba il silenzio.
La commozione pervade tutti. Vedo personalmente parecchie persone liberare
pianti fino ad allora sopiti. Il pensiero torna a chi non c’è più. A quella
generazione che ha visto, senza poter autonomamente decidere, negare la propria
gioventù e spesso morire. Certo, la storia e la vita sono come un gioco
d’azzardo. Nascere nel momento sbagliato e non poter recriminare può
condizionare per sempre la propria esistenza. Gli occhi corrono a cercare i
reduci presenti. Tutta gente che ha vissuto l’intera esistenza in salita, ma
con uno spirito ed una forza d’animo che sicuramente ha contribuito in modo
determinante per la loro salvezza 60 anni fa. Uno di questi, alpino con
all’attivo le campagne di Grecia, Albania e Russia, con tre medaglie
d’argento ed altri riconoscimenti “minori”, dopo l’8 settembre 1943, fu
invitato a recarsi negli Stati Uniti, in quanto figlio di padre italo-americano.
Per “premio” fu spedito a combattere in Giappone e nelle Filippine,
tornando, con un’altra serie di riconoscimenti, a casa solo nel ’46! Sono
storie incredibili ai nostri giorni. Sono esempi che soprattutto noi giovani
dovremmo tener a mente nei momenti di sconforto o di abbattimento.
Il viaggio va a finire: ormai è arrivata domenica sera, dopo l’ennesimo
pranzo “ufficiale” al quale partecipa anche il delegato militare
all’ambasciata a Mosca, stupito anche lui dell’operosità degli Alpini e
dell’amore di cui godono anche oltre confine. In effetti il generale in
questione era un “buffaiolo”…
Il treno, lo stesso dell’andata, ci aspetta alla stazione. Lasciare questi
posti, ma soprattutto questa gente, dispiace a tutti noi. Questa esperienza ci
ha arricchito e formato. In cuccetta, al ritorno ne parliamo e tutti condividono
la stessa immagine, la stessa volontà di tornare a Rossosch. A Mosca, saliti in
aereo, il comandante saluta “in particolar modo” gli alpini a bordo.
Applausi! Milano è lì, con la sua realtà di ostentata ricchezza e così
Venezia e così Conegliano. A duemilacinquecento chilometri in linea d’aria da
qui verso est, il mondo è un po’ diverso. Gli alpini hanno saputo portare
sessant’anni fa come oggi quel messaggio di civiltà, di amore e di rispetto
per le diversità che sempre ci farà apprezzare ed ammirare, che sempre
contribuirà a vederci impegnati per progetti concreti e per l’onore e la
memoria di chi, prima di noi, non ha potuto scegliere il proprio futuro ma è
morto per una bandiera e per una Patria i cui cittadini, troppo spesso, hanno
avuto la memoria corta.
Francesco Tuan
Investimenti coneglianesi a Rossosch |
CONEGLIANO. E' risaputo che gli alpini, ovunque vadano, lasciano un
ricordo positivo di loro.
E a Rossosch ancor oggi se ne vedono i segni. A partire dall'asilo costruito
dagli alpini 10 anni fa, dove si insegna l'italiano ai bambini. Una struttura
che oltre ad aver ricevuto la quarta medaglia d'oro come miglior asilo della
Russia, è diventata il simbolo della città assieme al vecchio campanile
della piazza principale e uno stimolo architettonico per l'edilizia locale. E
se grandi progetti si vanno delineando tra Conegliano e Rossosch, «il merito
va all'umanità che i soldati italiani e gli alpini, in parti colar modo,
hanno dimostrato nei con- fronti di questa città sul fiume Don» , ha
dichiarato il presidente dell'associazione alpini cittadina Antonio Daminato.
Ma questo rapporto, nato da un gemellaggio, potrebbe diventare anche economico
e commerciale. Sono questi, infatti, i progetti su cui la delegazione
comunale, dopo la firma ufficiale del gemellaggio avvenuta il 13 settembre
scorso in terra russa, dovrà lavorare. «Rossosch -precisa Zambon -è un
comune di 65 mila abitanti con una realtà produttiva e una vocazione
prettamente agricola che presenta però alcune affinità con Conegliano. Prima
di tutto la presenza di un istituto sperimentale per l'agricoltura che si
occupa di produzione di mele e pere geneticamente selezionate tramite gli
innesti naturali, oltre alle diverse opportunità di lavoro che si può
pensare di intraprendere in futuro». E su questo versante già la macchina
istituzionale si è messa in moto come sottolinea l'assessore al turismo
Andrea Roma. «La settimana prossima è previsto un incontro con il preside
della nostra scuola enologica - spiega Roma - per creare una collaborazione
tra i due istituti sperimentali, visto che gli amici russi ci hanno chiesto la
possibilità di far venire dei loro studenti al Cerletti e se possibile, far
andare a Rossosch qualche insegnante nostro». Nel frattempo l'amministrazione
coneglianese attende di conoscere i progetti russi per creare una rete
turistica, commerciale e imprenditoriale con il nostro territorio. «Impresa
possibile - precisa Roma - nel momento in cui a Rossosch esisteranno le
infrastrutture adatte per rendere più agevoli gli scambi. Oltre a
un'autostrada e al treno, ci stiamo attivando con il governo centrale per
poter ritagliare, all'interno dell'aeroporto militare uno spazio per voli
civili». Una volta approntate le reti di collegamento viario, il passo per
una delocalizzazione o un investimento di imprenditori coneglianesi o della
Marca in area russa sarebbe quanto meno agevolata.