ALPINI SEMPRE 1925-2015 - I 90 anni della Sezione di Conegliano

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Prefazione

Se non accadesse nulla, se nulla cambiasse,
il tempo si fermerebbe.
Perché il tempo non è altro che
 cambiamento, ed è appunto il cambiamento
che noi percepiamo, non il tempo.
Di fatto il tempo non esiste.


Julian Barbour, La fine del tempo.

Quando gli alpini d’oggi sono chiamati ad argomentare qualcosa che li riguarda, soprattutto quando si tratta dei loro grandi slanci di solidarietà o di impegno civico, manifestano di solito una certa ritrosia o, per dirla in parlata veneta, sudithión. E lo stesso riserbo vi è nello spiegare la radice popolare e semplice della loro cultura, così si rifugiano comprensibilmente nella straordinaria e prestigiosa eredità storica e leggendaria di chi li ha preceduti.
Eppure, la gran parte delle strutture etiche e valoriali che sono le solide basi dell’agire di Gruppi e Sezioni provengono da un’impronta genetica che ha la sua radice nell’atavica propensione al dovere e al sacrificio, all’attaccamento alla famiglia, al forte senso interiore di religiosità… una matrice germogliata in una civiltà periferica, semplice e forte, che si è sviluppata poi nel lento scorrere del tempo attraverso la dura disciplina del lavoro, il rispetto del sapere trasmesso dai più anziani, il conforto reciproco nelle prove più difficili e luttuose attinto dalla fede cristiana, la capacità di aiutarsi gli uni con gli altri nelle difficoltà materiali come nelle tante malore della vita.
Queste sono le peculiarità dell’alpino che ha ricevuto, che ha conservato e che ora cerca di tramandare intatte.
Fino a qualche decennio fa, chi si occupava di questo bagaglio di valori tradizionali veniva segnato con lo stigma di nostalgico passatista o, a torto, di estimatore di gesta belliche. Invece, l’evoluzione che ha caratterizzato l’ANA nel breve volgere di un paio di generazioni, da icona di eroi a macchina di solidarietà, non si è affatto compiuta in un arido deserto culturale come qualche (pseudo) reportage mediatico ha voluto genericamente o volutamente (s)qualificare le grandi Adunate delle Penne Nere, focalizzando l’attenzione solo su alcuni aspetti marginali, sempre esecrati, cercando e isolando macchiette di costume da sbattere in prima pagina.
Antiche solidarietà di villaggio spiegano gli alti tassi di volontariato gratuito; consolidate forme di rispetto dell’autorità paterna, materna, ecclesiale e civile, intesa prima di tutto in termini morali, spiegano meglio di sofisticate analisi sociologiche l’impegno degli alpini nelle proprie comunità.
Ed è proprio su queste idealità innate che Giuseppe Domenico Perrucchetti (Cassano d’Adda 1839-Cuorgnè 1916) si attivò affinché nel 1872 nascesse il Corpo degli Alpini con reclutamento locale. Uomini altamente motivati i quali, oltre ad un forte elemento di coesione, garantissero un rapporto stretto con la popolazione stessa. Egli, infatti, coltivava la profonda convinzione che nelle nostre vallate e nelle nostre campagne la tradizione di “gloriose difese” fosse assai ricca e che questa “larga messe di valori morali” attendesse solo di essere utilizzata nel modo più appropriato e sinergico.
E se è vero che “l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato”, come sostiene il famoso antropologo Le Goff recentemente scomparso, allora è altrettanto indiscutibile l’importanza della storia e del suo studio per non dimenticare coloro che la storia hanno fatto prima di noi. Ecco perché recuperare tali radici diventa, in primis, un mezzo per comprendere e per conoscere meglio noi stessi: noi, gli alpini di oggi. Attraverso la conoscenza del passato si può, infatti, consapevolmente interpretare il tempo presente poiché, come recita un’antica massima, solo “chi conosce le proprie origini conosce veramente se stesso”. L’agire umano lascia impronte ovunque: ciò che segue è solo uno dei tanti esempi di queste tracce che vanno preservate e salvate non solo dall’ingiuria del tempo ma soprattutto dall’indifferenza e dall’oblio della memoria.


Conegliano. Giorgio Visentin scorta
il vessillo sezionale,
portato dall'alfiere Gianni Dal Cin.

Simone Weil sosteneva che dimenticare il passato provoca la lacerazione delle relazioni umane e che ogni società non può esistere se viene amputata dei suoi valori essenziali che ruotano attorno al valore della continuità comunitaria fin dalla nascita della civiltà. Nel pluralismo culturale, ormai senza alternative, la stabilità del radicamento nella propria storia, chiamata ad avere coscienza della propria specificità, diventa quindi essenziale, imprescindibile. Una terra immemore, senza tali pietre miliari, può trasformarsi in landa desolata e arida anche se trabocca di beni materiali: questo è il pericolo immanente che viene dall’omologazione passiva al modernismo consumista, senza regole e dialogo, nichilista, agnostico e relativista. Ed è ciò che gli alpini non vogliono!
Ecco la motivazione che ha spinto la Sezione di Conegliano, nel 90° di fondazione, a promuovere questa ricerca che proverà a guidare il lettore a conoscere, scorrendo pagine di minuta quotidianità, la parentesi temporale della sua storia e le figure principali che ne hanno scandito le tappe.
In particolare alcune vecchie foto riprodotte, istantanee ingiallite che fermano il tempo, sono capaci di mostrare senza veli lo spaccato reale di questo passato e, nel contempo, offrire nella loro espressività la chiave di lettura per scoprire le fondamenta dell’odierna organizzazione.
In sintesi, uno spunto per approfondire, uno stimolo per riflettere, un monito per non dimenticare, mai. E dalle brume del passato ecco riemergere vicende e aneddoti, legati a personaggi con il loro ricco afflato di vissuti personali e con il loro pesante fardello di impegni. Voci e volti che vengono dal passato, dal paese dell’anima, e che ora s’intersecano e si amalgamano con il presente. Testimonianze che diventano non solo preziose fonti di documentazione, ma che danno corpo e spessore a vicende il cui ricordo è bene tutelare nel cuore delle nuove generazioni prima che le radici della memoria vengano inaridite dall’inesorabile trascorrere del tempo. Oppure che quei fatti comincino a fumigare nell’oblio dei tanti anni sgranati e le tante reminiscenze connesse alle non facili condizioni d’un tempo cadano nell’indifferenza e vengano disperse nel nulla come le foglie d’autunno.
Insegnamenti che a lungo andare sono poi inevitabilmente destinati a riaffiorare ricchi di antica saggezza e marcati da quell’inesauribile forza d’animo, tipica della gente alpina, tanto semplice quanto forte e determinata anche in presenza delle prove più calamitose. Ieri come oggi, in una continuità d’intenti che annulla la curva spazio-temporale perché, come conclude una nostra famosa canta dalla tonalità orgogliosa, “l’alpin l’è sempre quel”.
Idealità da condividere e di cui andare fieri ed orgogliosi, soprattutto se etimologicamente con il termine di Patria si intende la Terra dei Padri, i nostri, ai quali va tributata reverente ammirazione. Uno scrigno prezioso di qualità umane che va conservato e tramandato con amore.
Una trasmissione di quelle patrum virtutes, le virtù degli avi, che si possono compendiare in sapienza storica e pedagogica. Un’eredità che i più vecchi davano quale passaggio di consegne ai loro discendenti: le radici e le ali, ossia l’interiorizzazione del proprio passato e nel contempo la voglia di sognare ancora, di volare alto in una proiezione consapevole verso un futuro fatto di nuove conquiste e aspirazioni. Un’epoca, la nostra, quasi impreparata e a volte indifesa al cospetto di velocissimi cambiamenti in cui una regia oscura ed occulta, oltre all’economia e alla finanza, sembra pianificare ed imporre una cultura globale mediatica, uguale per tutti. Un obiettivo che ha come sfondo orizzonti scientifici sempre più vasti e ambiziosi, ormai pronti a sfidare il mistero della vita stessa. Di conseguenza, nel momento in cui le secolari certezze vengono messe in discussione da inquietanti tentativi di manipolazioni genetiche, diventa fondamentale riscoprire e valorizzare la propria identità culturale, semantica e associativa. Unicità, come quella degli Alpini, che va dalle più alte espressioni di civiltà fino alle più semplici tradizioni di folklore popolare.
E proprio per dare tangibilità al processo di crescita della Sezione Alpini di Conegliano è opportuno innanzitutto conoscerne l’humus ambientale e il back ground storico che l’hanno generata e poi, nel corso dei decenni, gli uomini che l’hanno alimentata fino a renderla sempre più feconda e vigorosa. Analizzandone la cronologia ne scaturisce tutta una serie di avvenimenti, alcuni drammatici e calamitosi i quali, o forse proprio per questo, hanno radicato e maturato il sentimento umano di Pietas, ossia quel comportamento empatico che affratella nel bisogno e nel dolore tutti i poveri cristi e innesca la scintilla dell’aiuto e della solidarietà.

Giorgio Visentin

 

 

(segue)