ALPINI SEMPRE 1925-2015 - I 90 anni della Sezione di Conegliano |
1925-2015 |
Sono parte integrante della vita associativa di ogni Sezione. La caratteristica dei nostri è che, a parte
l’ultimo, don Stefano Sitta, tutti gli altri in gioventù sono stati o
seminaristi arruolati (Francesco Sartor), o combattenti al fronte che poi hanno
sentito la vocazione sacerdotale (Giuseppe Tonon e Domenico Perin) o cappellani
militari al seguito dei reparti in operazioni belliche (Raffaele Pivetta e
Raffaele Lot).
E con i loro alpini hanno diviso la tenda e la latrina, il fango e i pidocchi, il gelo e l’arsura, il tabacco e
la gavetta di vino, i canti attorno ai fuochi dei bivacchi e la malinconia per
la casa lontana. Hanno pregato per i morti, consolato i feriti e perdonato le
loro bestemmie. Con loro, giorno dopo giorno, hanno guardato in faccia la morte
grifagna e alla fine, come loro, ne sono usciti con il cuore slabbrato e pieno
di ferite che faticavano a cicatrizzarsi.
Dal 1915 al 1945, ben 615 Cappellani militari prestarono servizio nelle truppe alpine dei quali 42
morirono (23 solo in Russia, molti in prigionia), 27 furono feriti gravemente o
congelati e 178 vennero decorati al valore come don Gnocchi, particolarmente
venerato in ambito sezionale.
Ecco perché essi hanno voluto restare dei nostri, sempre.
E sarà proprio un reduce cappellano alpino, il mitico e amatissimo don Piero Zangrando, guida spirituale del Val Piave nella Grande Guerra, a benedire nel 1926 il primo vessillo
sezionale.
1931. Adunata di Genova, incontro di cappellani militari alpini. Segnato con la croce è don Francesco Sartor.
È il primo e il più longevo
cappellano sezionale. Ne sarà guida religiosa e spirituale per 40 anni, dalla
sua ordinazione sacerdotale, 1928, fino alla morte avvenuta nel 1969.
Francesco Sartor era nato a
Conegliano, città di alpini, nel 1899 e qui aveva avuto modo di familiarizzare
con il 7° tanto che, al momento dell’arruolamento, chiese di essere assegnato ad
un reparto di Penne Nere.
Ragazzo del 99, el bonsignor,
così lo chiamavano affettuosamente i parrocchiani per la sua bontà, quale
tenente del btg Exilles del 3° Alpini, combatté sul Grappa e tra i primi
entrò in Feltre liberata. Nelle note caratteristiche il suo comandante così lo
giudica: “Ottimo ufficiale subalterno alpino di complemento aiutante maggiore
di battaglione”. Il settimanale diocesano L’Azione del 20 aprile 1969
così scrive: “Venuta la pace, fece la sua scelta per la vita. Non fece le
cose a metà; fu tutto d’un pezzo sulla via scelta e a lui indicata dal Signore.
Si aprì per lui una vita dedicata interamente a Dio e alla sua Chiesa,
nell’amore di Dio e del prossimo. Il Signore, il Popolo e la Patria serviti con
fedeltà, lealtà e amore, senza soste, fino alla fine.”
Nell’ottobre 1920 ricevette una
lettera (n. 622 di Protocollo Riservato) da Vipiteno, sede dell’Exilles,
a firma del comandante Carlo Arrigoni, indirizzata a tutti gli ufficiali del
Battaglione: “…I momenti torbidi in cui viviamo (Biennio rosso, forti
contrasti con la neonata Jugoslavia per la Dalmazia, n.d.a.), la bufera di
odio che si scatena nel Paese, l’oblio voluto dei nostri casi e la misconoscenza
delle nostre opere non debbono turbarci l’animo. Fieri del posto che
occupiamo diciamoci il proponimento di superare qualsiasi difficoltà e troviamo
in noi stessi la forza che ci sprona a proseguire per la nostra Via che è la Via
della nobiltà, la Via della lealtà, la Via della moralità. Dati i principi che
ci guidano non potrà mancare il trionfo di una causa così nobile, e le
soddisfazioni che ci sono dovute. I nomi di: Paviolo, Arrigoni, Morbello,
Paolucci, Penzi, Brusutti, Volante, Sartor, Marinoni, Ginestrone, devono
significare un’unione fatta di comprensione reciproca dei propri meriti, e di
proponimento di tutto dare per l’Italia nostra. Tutti per uno – uno per tutti.”
Francesco Sartor, ufficiale alpino durante la Grande Guerra.
È indubbio che questo forte richiamo abbia segnato profondamente il suo successivo impegno, anche nella veste di sacerdote, nell’ANA. Quand’era ancora studente di teologia (con ottimi voti viste le pagelle), da buon reduce, nel dopoguerra si attivò per fondare la Sezione alpini di Conegliano di cui divenne, fin da subito, il padre spirituale. Fu ordinato sacerdote nel 1928 e inizialmente destinato come cappellano a Oderzo e poi a Serravalle di Vittorio Veneto. Nel 1934 fu nominato parroco a Susegana e nel 1950 monsignore del Duomo della sua Conegliano, nomina che lo riempì di immensa gioia, come ebbe poi a confessare. Direttore dell’Unitalsi Veneta, si prodigò in numerose e variegate iniziative sociali e culturali. Tra le più importanti, e onerose, va ricordato il restauro del duomo di Conegliano con il loggiato e la facciata, considerata il più vasto libro murale dipinto sulla strada, affrescata da grandi artisti cinquecenteschi quali il Pozzoserrato, Francesco da Milano e il Previtali. Inaugurazione fatta dal ministro Gui.
Troviamo mons. Sartor officiante in tutti i momenti importanti della vita sezionale: la nascita dei nuovi Gruppi, il primo raduno del 7°, l’inaugurazione della Gradinata degli Alpini, le onoranze alle spoglie rientranti della M.O. Giovanni Piovesana, la benedizione della targa commemorativa del 7° alla Marras… Per il cinquantenario della Vittoria, decide di erigere nel suo Duomo, un Altare-Monumento a ricordo del sacrificio degli Alpini del 7°. “La magnifica notizia non era del tutto inattesa,- si legge nella stampa -in quanto Mons. Sartor aveva da tempo in animo di fare questo inestimabile dono che, attraverso il particolare ricordo del Reggimento che nacque a Conegliano, giunge a riconoscimento dei sacrifici e dei meriti di tutti gli Alpini d’Italia. L’Altare sorgerà con la semplicità e le caratteristiche consone alla monumentalità del Tempio il quale risale al XIV secolo e che, per la sua importanza artistica e storica, è giustamente soggetto alla vigilanza della Sovrintendenza ai Monumenti. Un Crocifisso romanico-bizantino del XV secolo, già custodito nella Sala dei Battuti, dominerà dall’alto dell’Altare, abbracciando simbolicamente tutte le Penne Mozze del 7°, valorizzando ancor più il sacrificio dei Morti, le sopportate sofferenze dei superstiti e la dedizione delle nuove e delle future generazioni del Reggimento; quella Croce rappresenterà le tante croci infisse sulle tombe del 7° e di ogni Penna Mozza d’Italia, e supplirà tutte le croci che mancano di contrassegnare i resti dei poveri Alpini spesso travolti da bufere belliche tanto violente da non consentirne la sepoltura e l’indicazione cristiana dell’estremo sacrificio.”
Si spense il 12 aprile 1969 e le esequie vennero celebrate dal vescovo di Vittorio Veneto mons. Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, il papa dei trentatre giorni che nell’omelia, con l’umanità e la modestia che lo contraddistinguevano, disse: “Ricorderemo con simpatia la sua figura. La sua bontà ha superato i difetti che tutti abbiamo, a cominciare dal vescovo che vi parla.”
Francesco Sartor con gli altri ufficiali dell’Exilles.
Così lo commemora Fiamme Verdi:
“Malgrado il suo purgatorio terreno, era stato colpito da paralisi nel 1962 mentre celebrava la S. Messa nel
corso di un pellegrinaggio a Lourdes, ed aveva poi avuto alterne crisi che
comportarono lunghe degenze all’ospedale, la morte di Mons. Sartor ha
dolorosamente sorpreso quanti ebbero la fortuna di conoscerlo e di beneficiare
del suo sempre incoraggiante consiglio; anche a noi alpini sembrava, e quasi
siamo ancora affettuosamente tentati a pensarlo, che Monsignore non dovesse mai
cedere. L’abbiamo invece salutato per l’ultima volta domenica 14 aprile, nel suo
Duomo traboccante di folla, per l’estremo commiato. Era presente il gonfalone
del Comune di Conegliano e il nostro vessillo sezionale, le bandiere delle
sezioni di Conegliano dell’Associazione Combattenti e Reduci e dei Mutilati ed
Invalidi di Guerra, i labari dell’Unitalsi diocesana e di Conegliano, dell’Avis,
della locale Associazione Bersaglieri e del Gruppo Marinai d’Italia, le bandiere
della Scuola Media Brustolon, dell’istituto Professionale per il Commercio Cima,
della Scuola Media Grava, il labaro del Sodalizio Ragazzi del 99 e del Gruppo
Bandistico Città di Conegliano, i gagliardetti dei nostri Gruppi di Fontigo,
Pieve di Soligo, Solighetto, S. Pietro di Feletto, Falzè di Piave, Corbanese,
Mareno di Piave, Collalto, Barbisano, Godega-Bibano, S. Fior, Collalbrigo, S.
Vendemiano, S. Lucia di Piave, Soligo e del Gruppo-città; ce n’erano degli altri
e altre bandiere, dapprima schierati su un lato dell’altare maggiore, ma non fu
possibile annotarli perché ad un certo momento è stato ordinato agli alfieri di
insaccarsi in un impenetrabile angolo per lasciare libero lo spazio ad alcuni
reverendi. E gli alpini, che diligentemente erano giunti con un sensibile
anticipo per assicurarsi il posto giusto, hanno dovuto pur mugugnando spostarsi
con quei gagliardetti che, guarda un po’, sono stati quasi tutti benedetti da
Mons. Sartor. È impossibile enumerare le personalità intervenute alle onoranze
funebri che sono state concelebrate dal Vescovo Mons. Albino Luciani con i
parroci della città. Il nostro Presidente comm. Guido Curto è intervenuto con i
vice presidenti e i consiglieri, altri dirigenti sezionali, capigruppo e
innumerevoli soci oltre a numerosi reduci del battaglione Exilles che ebbero
commilitone il nostro compianto monsignore. S. E. il Vescovo ha pronunciato un
discorso con cui ha tratteggiato la vita dello scomparso, e ne ha ricordato
l’affetto sempre conservato, e generosamente espresso, che ebbe per le Penne
Nere. È stato doloroso privilegio degli Alpini quello di trasportare a spalla la
bara mentre, sotto la Loggia del Duomo, rendeva gli onori militari un picchetto
armato del reparto di artiglieria del Gruppo missili di Oderzo; la tumulazione è
poi avvenuta nella tomba della Famiglia Vazzoler. Il nostro Monsignore se ne è
andato così; e tutti si sentono privati di un grande affetto e di un
determinante consiglio; i congiunti, la parrocchia e suoi fedeli, le
organizzazioni religiose e civili, e noi alpini che, di nascosto, per non far
fare brutta figura al nostro Cappellano, affranti lo piangiamo nel grato ricordo
dell’opera preziosa che anche nella nostra Sezione egli ha voluto recare con
esemplare volontà alpina.”
Così, invece, L’Azione chiude il suo articolo: “… è uscito dal suo Duomo sul tardi, come al termine di una laboriosa sofferta giornata. I soldati gli hanno presentato le armi e il trombettiere ha suonato il silenzio. Sei Alpini lo hanno caricato sul furgone funebre, che si è avviato mentre tutte le bandiere si chinavano al suo passaggio.”
Capitano degli alpini e pluridecorato,
Don Bepi, essendo libero da impegni parrocchiali,
nel 1971 fu il secondo cappellano della Sezione di Conegliano in contemporanea
con la Sezione di Vittorio Veneto. Così troviamo scritto in Fiamme Verdi di
quell’anno:
“È terminato anche per la Sezione di Conegliano il periodo di Sede Vacante, per il
posto di Cappellano. Infatti, dopo la dolorosa dipartita dell’amato Mons.
Sartor, eravamo rimasti senza assistente spirituale e si andava, ad ogni
cerimonia, alla ricerca di un Sacerdote che celebrasse per noi funzioni e
benedizioni. A dire il vero però non abbiamo fatto tanta fatica, perché con gli
alpini tutti si trovano bene e vanno d’accordo. Ora esultate Alpini! L’abbiamo
trovato il Cappellano; un Cappellano tutto per noi e solo per noi, un cappellano
che ti assolve se scappa qualche... racchetta, un cappellano che ascolta
comprensivo le tue barzellette, un cappellano che sa bere con te nello stesso
gavettino perché ha vissuto vita, vicende, tragedie e glorie degli alpini. Chi è
costui? Ve lo presento: Don Giuseppe Tonon, nato a Conegliano, classe 1895,
Capitano Alpino e dopo Cappellano. È una presentazione semplice, ma che ci dice
tutto se a questa nota aggiungiamo la sua cordialità, la sua bontà, il suo
spirito e il suo sorriso paterno e benevolo. Egli ha accolto con piacere la
proposta del Consiglio Sezionale, l’ha accettata con entusiasmo, senza chiedere
permessi a nessuno perché è un Sacerdote... disoccupato e senza Parrocchia.”
Straordinaria la sua storia di uomo, prima in grigioverde e poi in abito talare.
Egli fu arruolato nell’autunno del 1914 come soldato semplice, fu assegnato al 7°
Reggimento Alpini, btg Cadore, 68ª Compagnia, seguendo il reparto nei suoi vari
spostamenti: Belluno, Padola, Col Quaternà. Data la sua preparazione scolastica
superiore frequentò un corso regolare per aspiranti ufficiali uscendone con il
grado di tenente. Nel gennaio del 1915 fu assegnato al Monte Argentera
del 2° Alpini per poi tornare ancora al 7°. Partecipò alla guerra 1915-18 nelle
azioni alpine d’alta quota sul Monte Cavallino e sull’Altissimo, e poi ancora al
Passo della Sentinella e nel calvario dell’Ortigara per finire sui Solaroli del
Grappa. Tutti luoghi che hanno visto nascere la leggenda delle Penne Nere. Venne
congedato nel novembre 1919 con il grado di capitano per indiscussi meriti di
Guerra.<
“Un
bel fegataccio, il suo!- continua l’articolista -e non poteva essere che così, se ora è diventato cappellano
della nostra Sezione.”
Nel primo dopoguerra, profondamente turbato dagli orrori e le sofferenze umane che aveva vissuto e visto, sentì imperiosa la voce del Signore che lo chiamava al suo servizio ed entrò nel seminario di Vittorio Veneto per la preparazione teologica al sacerdozio “…ed il resto a noi poco interessa.- conclude Fiamme Verdi -L’essenziale è che egli è un alpino come noi, un cuore aperto e generoso come noi, un sacerdote nel vero senso della parola, che alla Fede unisce l’amore per la Patria, il Tricolore e la Penna Nera. Salutiamo con fraterna amicizia e schiettezza e nel contempo con rispetto e formuliamo da questo giornale, al nostro caro Cappellano Alpino, gli auguri più affettuosi e più sinceri con la certezza che troverà in noi il ricordo dei suoi Veci.”
Venne ordinato sacerdote nel 1930 e dopo essere stato cappellano a Moriago, Ceggia, Codognè, Rua di Feletto e curato ad Arfanta, fu nominato parroco di Tovena, dove seppe pure dimostrare il suo coraggio a protezione del suo gregge minacciato dalle rappresaglie antipartigiane portate da violenti reparti nazi-fascisti nel periodo fratricida del 1943-45. Nel 1969 si ritirò nella mansioneria di Orsago. Accettando l’incarico di Cappellano sezionale, nel 1971, così si presentò ai suoi Alpini di Conegliano: “Riporto un pensiero di San Paolo: essendo libero da tutto, mi sono fatto servo di tutti per la salvezza di molti; dunque, io sono con voi, per voi partecipando alle vostre gioie, ma anche alle vostre sofferenze, al vostro dolore, perché è chiaro che la nostra vita è così intralciata. L’Alpino, di tutto questo è a conoscenza e ha una sua storia, come tutti gli uomini, una storia, però, con la propria libertà e responsabilità, con il proprio compito, con il suo fine. Non una storia solo di dimensione individuale, ma, essendo legato ad altri Alpini, ognuno porta la storia dell’intera famiglia, perciò ogni valore individuale, va ad accumulare il grande tesoro depositato nella storia della Famiglia Alpina. Alpini, difendiamo con coraggio, tenacia e perseveranza questi valori che sono accettati e graditi dalla nostra cara Patria l’Italia! Nelle nostre adunate di Gruppo, Sezione e Nazionali, noi vogliamo che il Tricolore garrisca al vento accanto alla selva dei nostri Gagliardetti sui quali fu aspersa l’acqua benedetta, perché vengano baciati e difesi da qualunque profanazione. Continuiamo con le nostre aperte e schiette dimostrazioni di fraterna amicizia, frutto di un amore che ci unisce e porta quella nota allegra che rende lieti gli animi a quanti ci stimano.”
Morì il 26 settembre 1977 dopo pochi giorni di malattia. Venne sepolto nel cimitero di Scomigo, accompagnato dal reverente saluto del presidente Vallomy: “La sua presenza tra noi, nelle cerimonie ufficiali e negli incontri con i nostri soci,- disse -è stata utilissima, sempre gradita, e meritevole di perenne riconoscenza.”
Nato nel 1901, fu per un breve periodo il terzo Cappellano della Sezione. Apparteneva all’8° Alpini. Assistente diocesano dell’Azione Cattolica, fu parroco prima di San Vendemiano e poi di Tezze dal 1962 al 1978, iscrivendosi al Gruppo di Vazzola. Fu arruolato come cappellano sezionale da Vallomy. Per problemi di salute e d’età si ritira nella casa mansionaria di Gai di Cison e poi presso la casa di riposo per sacerdoti a S. Lucia di Piave.
Così
lo ricordano gli alpini di Vazzola:
“Nonostante l’età, partecipa con fervore ed interessamento alla vita del Gruppo.
Arrivato alla pensione si è trasferito a Gai di Cison
ed attraverso le affettuose insistenze del presidente prof. Vallomy ha
accettato di fare il cappellano della Sezione, che poi ha dovuto abbandonare per
incidente irreversibile alla salute. Da pensionato, oltre a non tralasciare la
sua missione ecclesiastica, si dedicò alla stesura di un bellissimo libretto,
intitolato: Penne Mozze nella guerra 1915-18, riportando i nominativi di tutti
coloro che sono caduti della Sezione di Conegliano. Ne fece omaggio alla stessa
ed a tutti gli iscritti del Gruppo di Vazzola. Grazie Monsignore.”
In Fiamme Verdi vi è un piccolo trafiletto che lo riguarda:
“Dono di mons. Raffaele Pivetta: Il nostro carissimo cappellano sezionale, mons.
Raffaele Pivetta, ha realizzato in pregevolissimo fascicolo la raccolta delle
notizie sui Caduti alpini, dell’area in cui opera la nostra Sezione, nella
guerra 1915-18. Il lavoro, che sicuramente è costato non poca dedizione e
diligenza, per desumere e riclassificare i dati contenuti nel libro di Mario
Altarui: Penne Nere trevigiane nella guerra 1915-18, è altresì prezioso perché
l’accennata opera di Altarui è da tempo esaurita. E contiene, oltre al quadro
delle cariche sezionali, una piccola raccolta di testi di canzoni della prima
guerra mondiale. Al caro mons. Pivetta rivolgiamo, con l’augurio per la sua
salute, il ringraziamento nostro e delle famiglie dei nostri Caduti.”
Torna alla casa del Padre nel 1994. Le solenni esequie, con la presenza del vessillo sezionale, dei gagliardetti e centinaia di Penne Nere, si tengono nella parrocchiale di Tezze officiate dal vescovo mons. Eugenio Ravignani.
Don Raffele Lot in Albania |
Nato a Gaiarine nel 1915, venne ordinato sacerdote nel 1940. Fu poi cappellano a Trichiana e vicerettore del
collegio vescovile Dante di Vittorio.
Dal 1942 al 1944, quale ufficiale
cappellano, fu al seguito del btg Cadore in Albania e in Montenegro.
Rientra in Italia nel 1944 ed è cappellano a Sonego, parroco a Ogliano per 8
anni fino al 1957 ed infine a Fregona per altri 22.
Nel 1954 riceve la Croce di Guerra per il suo servizio al seguito delle truppe combattenti. Nel 1979, per motivi di salute, si ritira quale mansionario nella parrocchia di Godega. Nel 1992 si trasferisce a Pordenone dove muore nel 1996.
Così viene ricordato nella
cronologia dei parroci di Fregona, ricostruita da Oscar De Zorzi:
“Sacerdote ligio al dovere,
fu sempre fiero di fregiarsi delle medaglie ottenute in guerra, cappellano degli
alpini, mettendo in testa il cappello con la piuma (così nel testo, n.d.a.)
nelle celebrazioni commemorative e nelle adunanze militari a cui partecipava.
Nel 1967 aveva ottenuto l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica
per le sue alte benemerenze conseguite nel periodo bellico e per le numerose
attività sociali svolte a favore della popolazione di Fregona.”
Ha donato il suo cappello, le sue decorazioni e i suoi ricordi di guerra al gruppo di Bibano-Godega dove sono gelosamente conservati ed esposti con orgoglio in sede.
Nel 1990 in occasione della fondazione del Gruppo di Codognè, il 29° della Sezione e a cui era legatissimo, si iscrisse all’ANA e di seguito fu nominato Cappellano delle Penne Nere coneglianesi.
Nato da una numerosa famiglia contadina di Colle Umberto, nel 1938 riceve la cartolina precetto e dopo l’iniziale addestramento al I° rgt fanteria di Tolmino viene aggregato alla Julia dove, alla caserma Di Prampero, svolge l’incarico di telefonista alle dipendenze del Generale di Corpo d’Armata Antonio Bergonzi. Compito che svolgerà anche dopo la scoppio della guerra. Qui ha modo di frequentare con relativa assiduità la pratica religiosa presso l’adiacente santuario della Madonna delle Grazie tenuto dai Servi di Maria.
Dopo l’8 settembre 1943, come tanti suoi coetanei, abbandona la divisa e torna a casa. Per non rispondere al bando di arruolamento coatto nelle milizie repubblichine di Graziani, si eclissa prudentemente evitando così di cadere nei tanti rastrellamenti che i fascisti operavano alle falde del Cansiglio, zona operativa delle formazioni partigiane. E proprio in questo drammatico momento della storia italiana, matura la propria vocazione e decide di rispondere alla chiamata del Signore. Entra nel seminario di Vittorio Veneto per gli studi teologali e nel 1951 viene ordinato sacerdote. Svolge l’attività di cappellano in varie parrocchie della diocesi per poi essere nominato parroco a Stabie di Lentiai (BL) dove rimane dieci anni. “Erano anni e luoghi dove ci si spostava sempre a piedi e la dieta comune era formata da patate e castagne,- ricorda col suo immancabile sorriso -ma era una scuola di vita dura e salutare che preparava ai futuri disagi.”
Nel 1965 giunse a Cimavilla di Codognè a reggere la neonata parrocchia in cui svolse il suo quarantennale e fecondo apostolato finché il Padre lo chiamò a sé. “Pastore premuroso e solerte” lo ha definito il vescovo Corrado Pizziolo nell’omelia funebre.
Così invece lo ricordano i suoi alpini:
“Di carattere forte, schietto
e temprato dalle vicissitudini della vita, spronava i suoi parrocchiani a
partecipare alla S. Messa ed a vivere secondo le indicazioni cristiane e con gli
alpini andava giù ancor più severo, sempre con lo scopo di salvar le anime
…anche dei più duri di cervice! Rigido anche con se stesso, ha continuato a
sfilare nelle adunate fino a che le gambe gli hanno obbedito e in questi ultimi
anni segnati dall’infermità, ha accettato la sofferenza con l’orgoglio di
prete-alpino, ringraziando sempre quanti gli sono stati vicini, lo hanno aiutato
e gli hanno voluto bene. Anche noi alpini vogliamo porgerti il nostro grazie per
i servizi che hai svolto, nei momenti lieti e tristi della nostra vita
associativa, grati anche per le tue prediche pungenti, i tuoi saggi consigli, il
tuo insistere per tralasciare quel poco che ci divide e cercare invece il molto
che ci unisce. Grazie Monsignore, anzi grazie don Domenico, come volevi che ti
chiamassimo. Ora lassù avrai ritrovato tutti gli amici, gli alpini che ti hanno
preceduto e potrai vegliare su di noi che un giorno ti raggiungeremo a godere la
gioia senza fine ed il premio, come promesso a te servo fedele del Signore.”
Don Stefano Sitta nella sede di Codognè A fianco, Don Stefano Sitta nella Chiesa di Cimetta |
È il Cappellano attuale. Nato a Belluno nel 1959 ma residente a Mel. Ha prestato servizio militare negli anni 1977-78 nel 7° della Cadore e dopo il congedo per 14 anni ha lavorato come dipendente della Ceramica Dolomite. Ha risposto poi alla chiamata del Signore entrando nel seminario vescovile di Vittorio Veneto.
Ordinato sacerdote nel 2001, ha inizialmente svolto il suo apostolato dapprima come collaboratore a San Vendemiano, quindi ha operato come parroco nel bellunese, prima a Lentiai e poi a Villa di Villa, dove rimane 6 anni. Nel 2009 gli vengono assegnate le parrocchie di Cimetta e di Cimavilla, quella che fu di don Domenico Perin. In questo periodo viene avvicinato dal presidente Battista Bozzoli che gli chiede di coprire il ruolo lasciato vacante dal suo predecessore. Incarico che accetta da buon alpino. Nella sua prima uscita ufficiale, inizi 2013, accompagna il presidente Benedetti, il vicepresidente nazionale Geronazzo, il sindaco Zambon e la folta rappresentanza sezionale a Belluno per la consegna del Tricolore alla Julia che si appresta a partire per la nuova missione in Afghanistan. Così, dopo 35 anni, Don Stefano può rivivere l’emozione di varcare la porta carraia della caserma Salsa, dove svolse il servizio militare proprio nel 7°. “Il cappello alpino- dicono di lui -non lo ha abbandonato di certo e quando celebra la messa per occasioni alpine lo indossa con fierezza e si vede che in quei momenti si fonde con quanti hanno condiviso la sua esperienza militare alpina.”
Dal 2013 è assegnato alle parrocchie di Barbisano e Collalto.