7° ALPINI |
Febbraio 1969 |
inizio
(26a puntata della storia del 7° Alpini)
Abbiamo ricordato (Fiamme Verdi n. 3-1967) che il battaglione «Val Cismon » venne destinato al 9°
Reggimento Alpini il 27 aprile del 1942, nella fase conclusiva della campagna greco-albanese; nato in seno al 7°, a tale
reggimento, il «Val Cismon» rimase affettivamente legato anche se la guerra lo portò su fronti diversi rispetto ai
battaglioni fratelli.
Anziché in Montenegro, il battaglione di Actis Caporale raggiunse Aldussina di dove partì il 13
agosto per la Russia, giungendovi quando l’azione italo-tedesca cominciava a scricchiolare.
E’ quanto mai difficile elencare anche sinteticamente i fatti di Russia, pur limitandosi al «Val
Cismon» il quale, appartenendo alla «Julia», visse con questa la pagina più dolorosa ma altrettanto eroica della propria
storia.
Alla fine di settembre il comando del battaglione venne assunto dal capitano Stanislao Valenti e, fino a quel periodo,
l’unità alpina non venne molto impegnata sul Don; l’1 novembre si trovava a Builowka e il 16 dicembre venne spostata in
direzione di Selenji Yar (Deresowka) per tamponare, con tutto il resto della «Julia», il nemico diretto verso Rossosch.
Il «Val Cismon» giunse all’obbiettivo la sera del 23 dicembre prendendo immediato contatto con il nemico assieme
all’«Aquila» e alla fanteria tedesca, tra le quote 166 e 205,6 che furono teatro di impressionanti combattimenti.
I russi attaccarono presto la 265° compagnia a quota 166, dopo un intenso tiro di mortai ed armi automatiche; gli alpini
assaltarono a bombe a mano e alla baionetta causando centinaia di morti; altro assalto venne contenuto con gravissime
perdite da entrambe le parti.
I russi riuscirono a raggiungere alcune posizioni che, con l’aiuto della 277° compagnia, il «Val Cismon» riprese
inseguendo poi il nemico fin quasi a Deresowka; ma ricominciarono presto gli assalti russi con l’appoggio di carri
armati, determinando notevoli perdite al battaglione alpino che si riportò sull’originaria posizione in selletta data
l’impossibilità di stabilire la nuova linea in contropendenza.
In questi combattimenti, che sbalordirono persino i russi per la tenacia dimostrata dagli alpini del Val Cismon, cadde
il sottotenente Fausto Gamba, nativo di Brescia, alla cui memoria venne conferita la medaglia di oro al valore militare
con la seguente motivazione:
«Comandante di plotone fucilieri, avuto l’ordine di contrattaccare un forte nucleo nemico, soverchiante di forze e di
mezzi, infiltratosi nelle nostre linee, con magnifico slancio ed aggressività, con perizia ed audacia riusciva in un
primo tempo ad arginare la irruenza del nemico, permettendo così al proprio comandante di compagnia, di operare sul
fianco del nemico stesso. Ferito una prima volta gravemente da scheggia di mortaio, rimaneva sul posto, continuando ad
incitare con l’esempio e la parola i propri alpini, trascinandoli poi ai contrattacco con tale slancio, che il nemico
vinto dall’impeto di quel pugno di uomini, desisteva dalla lotta. Ferito una seconda volta da pallottola, che gli
paralizzava gli arti inferiori, rifiutava ancora qualsiasi soccorso e permetteva ai suoi alpini di portarlo al posto di
medicazione solo quando vedeva il nemico in fuga. Trasportato all’ospedale, manteneva stoico contegno. Conscio
dell’imminente fine, manifestava il suo orgoglio per il dovere compiuto fino al sacrificio supremo. Fronte russo, 24
dicembre 1942».
Pur sempre inadeguato al gelo oscillante tra i 30 e i 35 gradi, giunse finalmente al battaglione un equipaggiamento
migliore; più difficile rimase l’inoltro del rancio in misura sufficiente.
Continuava intanto l’incessante tiro di batteria, di controbatteria e di mortai mentre l’aviazione tormentava ancor più,
e reciprocamente, le linee contrapposte.
Il giorno di Natale le truppe nemiche tentarono di cogliere di sorpresa i nostri reparti approfittando delle precarie
condizioni cui l’avevano ridotti i combattimenti dei giorni precedenti; ne ebbero però una reazione che impose loro di
desistere.
Stavano però affluendo nuove e notevoli truppe avversarie che all’alba del 26 dicembre sferrarono un fortissimo attacco
contro la quota 205,6 tenuta dalla 264° compagnia del capitano Bertolotti. I russi assaltarono con sempre rinnovati
reparti nel tentativo di interrompere i collegamenti tra gli alpini e le truppe tedesche; la lotta divenne feroce, a
bombe a mano e all’arma bianca, ma la 264° - rinforzata dai plotoni sciatori e zappatori della compagnia comando e,
sulla destra, dall’intervenuta 277° compagnia - riuscì a respingere il nemico il quale subì perdite ingentissime. Gli
alpini, notevolmente provati, ebbero una citazione nel bollettino del comando supremo germanico; al capitano Bertolotti
venne conferita, sul campo, la croce di ferro tedesca di seconda classe.
All’alba del 27 dicembre i russi attaccarono i reparti tedeschi che dovettero cedere scoprendo il fianco destro del
nostro schieramento; la 264° venne sorpresa a tergo e costretta a lasciare quota 205,6 che - con l’appoggio della 277° e
di alcuni carri armati tedeschi - riprese con ammirabile tenacia.
Gli italiani non avevano carri armati, ma erano dotati di
«alpini-carro armato» come Giuseppe Toigo, della 264° compagnia, eroico fin dal primo giorno di combattimento; quando
seppe che, per una valorosa azione, l’avevano proposto per una prima decorazione si meravigliò e disse: Ma par cossa pò;
semo qua a far i soldai o le fémene? E sebbene ferito tornò a combattere. Fino a quel 27 dicembre, quando aggirò le
truppe russe legato - con una mitragliatrice - sopra un carro armato tedesco; fece strage, provocando lo sbandamento dei
reparti nemici, ma quando stava rientrando nelle nostre linee un colpo di mortaio colpì il carro e gli asportò la mano
destra e gli ferì irrimediabilmente gli occhi.
Gli venne conferita la medaglia d’oro con la seguente motivazione:
«Ritornato dalla Francia per combattere nell’Esercito italiano, sempre presente nelle imprese più rischiose, per ben
tre volte rientrava nelle nostre linee ferito e rifiutava di essere ricoverato accontentandosi della semplice
medicazione. Durante un preponderante attacco nemico, fattosi legare con una mitragliatrice, allo scoperto, sullo scafo
di un carro armato al fine di aumentare la potenza di fuoco, contribuiva efficacemente a stroncare l’avanzata delle
masse avversarie. Rientrato dalla azione veniva raggiunto da un colpo dì mortaio che lo lasciava gravemente ferito agli
occhi e ad una mano. Fulgido esempio di eroismo e profondo attaccamento alla Patria. Selenji Yar - Nowa Gusevizza
(fronte russo), 27 dicembre 1942».
La medaglia d’oro era stata proposta sul campo, ma Bepi Toigo - del Grappa - la ebbe soltanto alla fine del 1952, due
anni e mezzo prima di morire nella sua casa di Arten di Fonzaso.
Sconosciuti eroismi si susseguirono sul fronte del «Val
Cismon» dove il 28 dicembre i russi tornarono con carri armati di medio tonnellaggio dopo aver eseguito un terrificante
bombardamento; mitragliatrici e mortai vennero schiacciati, la linea rimase sconvolta e, in molti casi, gli alpini
assaltarono i carri con bombe a mano.
Dopo un nuovo spietato bombardamento, giunse l’alba del 30 dicembre e con essa l’assalto - a quota 166 - di
impressionanti masse di fanteria sovietica sostenute da carri armati di ogni tipo. Il primo contatto lo subì la 265°,
poi a destra contro la 277° e infine al centro ove si trovava la 264° accorsero i resti del battaglione L’Aquila, anche
i congelati si lanciarono al contrattacco in una mischia infernale.
Dopo una giornata di lotta il comando germanico ordinò l’arretramento della linea, ma ciò avrebbe comportato il crollo
del settore e quindi gli alpini continuarono a combattere (e l’ordine di ripiegamento venne revocato) costringendo il
nemico a ripiegare lasciando sul terreno una quantità incalcolabile di uomini e di armi.
Il 31 dicembre i russi attaccarono il Val Cismon con un gruppo di diciotto nuovissimi carri armati; il primo gennaio
riattaccarono ancora inutilmente per cui dovettero passare per altri settori non tenuti dagli alpini.
Il Val Cismon, con le compagnie ridotte a circa 90 uomini ciascuna e con i reparti minori ormai inesistenti, venne
ritirato il 2 gennaio per un precario riposo a rincalzo dell’8° Alpini. Ma il giorno 14 la situazione si aggravò e il
battaglione venne ributtato in linea di fronte a Deresowka e a Jwanowka per sostituire alcuni reparti tedeschi.
Nell’immediato pomeriggio del 15 gennaio la 264° era già in contatto con il nemico; lo stesso giorno - all’alba-
diciotto carri armati russi avevano fatto irruzione a Rossosch ove era situato il comando del nostro Corpo d’armata
subito fronteggiati dai valorosi del comando tra i quali il generale Martinat che sarebbe poi caduto a Nikolajewka e il
caporale Alessio G. Cavaliere - studente universitario, di origine trevigiana - che scomparve lottando con bombe a mano
e bottiglie di benzina: 12 carri vennero distrutti e gli altri sei vennero posti in fuga.
Cominciarono a scarseggiare la armi, il munizionamento, gli approvvigionamenti; non c’era più artiglieria né aviazione
in appoggio ai reparti in linea. Il Cismon - con le compagnie ridotte a 70 uomini ciascuna - rimase con il fianco
sinistro scoperto e le compagnie 277° e 265°’ vennero attaccate violentemente ma resistettero sino all’ordine di
ripiegamento quando profonde falle si erano prodotte ai lati del loro schieramento.
Il giorno 17 i resti del battaglione giunsero a Tarnowka, iniziando poi la marcia lungo l’itinerario Mesonky, Slavianka,
Annowka, Jvanskoje, Molk e Popowka; qui si verificò l’attacco dei russi, giunti da Rossosch, che provocò la creazione di
due colonne in ritirata e gli alpini si trovarono immessi nelle due direttrici diverse.
Del Val Cismon, una parte - col comandante cap. Valenti - si indirizzò con alpini del Vicenza e dell’Aquila verso
Kopanki ma vennero dispersi il 20 o 21 gennaio dopo furibondi combattimenti; il resto, col cap. Mosetti che divenne
comandante del battaglione, seguì la colonna tedesca verso Podgornoje combattendo senza tregua contro carri armati,
truppe regolari e partigiani e giungendo, pur con varie perdite, a Karpenkowo e poi a Koponoje e a Warwarowka ed infine
a Nikolajewka.
In quei giorni caddero due ottimi ufficiali del Val Cismon. Il sottotenente Antonio Cantele, da Villanova di
Camposampiero, decorato di medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione:
«Comandante di plotone nel corso di cruenta lotta contro agguerrite preponderanti forze, pur col braccio perforato da
pallottola, contrassaltava vittoriosamente alla testa dei suoi alpini. Ricoverato in ospedale da campo ne usciva dopo
pochi giorni, non ancora guarito, per tornare al suo reparto che sapeva duramente provato e impegnato. Incurante di
nuova ferita rifiutava ogni soccorso e in violenti combattimenti sulla neve, intesi ad aprirsi un varco tra il nemico
accerchiante, coronava con l’estremo sacrificio le fulgide ripetute prove di eccezionale ardimento, di eroismo e stoica
fermezza d’animo. Fronte russo, 30 dicembre 1942 - 20 gennaio 1943».
Il giorno seguente morì combattendo il capitano Luciano Bertolotti, comandante della 264à compagnia, così decorato di
medaglia d’oro:
«Valoroso reduce di altri fronti, assunto il comando della 264° del «Val Cismon», si impone alla generale
considerazione per spiccate doti di capacità organizzativa e direttiva, indomito spirito combattivo, assoluta dedizione
al dovere. Con mezzi inadeguati e in precarie condizioni ambientali, affronta con stoica fermezza, l’aggressività di
preponderanti agguerrite forze, in tragiche alterne vicende belliche culminanti nel tempo e nello spazio con vigorose
offensive, in sanguinose resistenze protratte con inflessibile tenacia fino all’arma bianca, in tormentosi ripiegamenti
compiuti sotto la pressione incalzante di implacabile nemico, riesce sempre ed ovunque ad alimentare con il suo eroico
esempio leggendarie reazioni, primo tra i suoi alpini che lo seguono, benché sfiniti, affascinati da tanta potenza
trascinatrice che li guida, in più riprese, a insperati concreti successi. Delineatasi la crisi: decimato con scarse
munizioni e viveri, quando ormai tutto crolla inesorabilmente attorno a lui e non dispone che di un pugno di valorosi
superstiti, si impegna in titanica cruenta lotta a corpo a corpo e, fuso ad essi, scompare nella furibonda mischia,
simbolo di sovrumane virtù militari. Fiero alpino, ha perpetuato le glorie del Corpo e le gesta del padre e del fratello
caduti combattendo per la grandezza della Patria. Fronte russo, 24 dicembre 1942 - 21 gennaio 1943».
Al kolkoz di Letsnitcianski - dopo Kopanki - una parte del Val Cismon ed altri reparti alpini s’immolarono eroicamente;
chi non morì venne tratto prigioniero (tra cui don Giovanni Brevi). Cadde anche il comandante cap. Stanislao Valenti,
per cui il cap. Giuseppe Mosetti - che con il resto del Val Cismon sì era unito alla Tridentina - assunse, come si
disse, il comando del battaglione combattendo infine a Nikolajewka.
La marcia riprese poi per Uspenka, Nowji Oskol, Troisk, Njegol e, dopo due giorni di sosta e di riorganizzazione,
nuovamente a piedi per Bjelgorod, Tomarowka, Borisowka, Pisarewka, Maligrum, Sinkiw, Gradiatch, Sassulie e Romni.
La grande marcia di mille chilometri finì così, il 23 febbraio, dopo 37 giorni di combattimenti tra la neve, con
quaranta gradi sotto zero.
I prodi del Val Cismon giunsero in Italia il 19 marzo 1943; il comando del battaglione venne assunto il 17 maggio dal
magg. Pietro Oliva e, in agosto, l’unità venne trasferita ad Aidussina di dove era partita un anno prima.
Poco dopo, l’8 settembre segnava la fine di quello che fu uno dei più gloriosi battaglioni alpini.
Tra gli eroi sopravvissuti alla terribile prova c’è Angelo Ziliotto di Paderno del Grappa, valoroso anche nel precedente
fronte greco-albanese. Sul fronte russo meritò la croce di ferro tedesca di seconda classe e la nostra medaglia d’oro al
valor militare con la seguente motivazione:
«Fiero alpino portaordini emerge in ogni azione, sempre eroico e generoso. In Russia, in rischiosa azione,
sopravanzando, malgrado ordini di prudenza, un nostro carro armato, si slancia, unico superstite, contro munita
posizione e malgrado forte reazione nemica e ferite multiple ne ha ragione e cattura armi e materiali. In altra
occasione, con l’ascendente del noto valore, mantiene un tratto di linea privo di superiori caduti e guida i superstiti
in intelligente ripiegamento più volte ordinato. Nella steppa gelata si priva generosamente di indumenti e viveri per
soccorrere un superiore caduto e minacciato di cattura. Sdegnoso di turni di anzianità si offre sempre e reclama per sé
le azioni più audaci e pericolose, Magnifico campione di nostra razza montanara. Selenji Yar - Nowa Gusevizza (fronte
russo), 27 dicembre 1942 - 10 febbraio 1943».
Il buon Ziliotto, attualmente maresciallo del Corpo Forestale, è tra noi tanto conosciuto da non abbisognare di
ulteriori citazioni.
Nel 1954 è tornato dalla prigionia, dopo inaudite sofferenze, il tenente cappellano don Giovanni Brevi del «Val Cismon»
al quale venne conferita la medaglia d’oro con la motivazione:
«Apostolo della fede, martire del patriottismo, in ogni situazione, in ogni momento si offriva e si prodigava in
favore dei bisognosi, noncurante della sua stessa persona. Sacerdote caritatevole ed illuminato, infermiere premuroso ed
amorevole, curava generosamente gli infetti di mortali epidemie. Intransigente patriota, con adamantina fierezza,
affrontava pericoli e disagi, senza mai piegarsi a lusinghe e minacce. Di fronte ai doveri ed alla dignità di soldato e
di italiano preferiva affrontare sofferenze e il pericolo di morte pur di non cedere, eroicamente guadagnava il martirio
ai lavori forzati. Esempio sublime di pura fede e di quanto possa un apostolo di Cristo e un soldato della Patria.
Fronte russo - Prigionia di Russia 1942 – 1954».
In troppi non sono tornati; ma un insegnamento ce l’hanno lasciato ugualmente. E’ lo stesso che ci viene testimoniato
dai superstiti e che Bepi Tolgo ci ripeteva con commovente insistenza: «Vardé fioi, mi no ve digo gnente, ma
ricordéve de far sempre el vostro dover, da bravi alpini».