UN GESTO D'AMORE ALPINO |
Luglio 2005 |
Aldo è uno dei tanti che ha voluto ricordare con il
suo impegno la presenza del padre alpino sul fronte russo nel 1942. Ha realizzato nella azienda gestita con i fratelli
le attrezzature che lui stesso è andato poi a collocare nel parco giochi dell’asilo di Rossosch.
Merita di essere raccontato l’episodio di cui il padre fu protagonista.
Vittorio Tomasella, classe 1914, era stato congedato nel 1936 (7° Rgt. Alpini Btg. Cadore) poi richiamato
nel ‘39 e nel ‘40 ed impegnato in Alta Savoia. Nel dicembre del 1940 era partito con il grado di sergente nel Btg. Val
Cismon per il fronte greco-albanese da dove era rientrato nell’aprile del ‘42. Nell’agosto dello stesso anno partiva per
il fronte russo.
Le famiglie Tomasella e Dal Mas occupavano assieme la grande casa colonica ora inglobata nell’estesa zona industriale di
Castello Roganzuolo.
Dimoravano in 70 nel vasto complesso rurale, allora circondato solo da verdi prati e rivoli, con i
suoni della campagna e lo sferragliare del treno della linea Venezia-Udine.
Ed il 15 agosto tutti si erano portati lungo
la ferrovia per salutare Vittorio (Toio) che passava con la tradotta proveniente da Feltre e diretta ad Est. Ferito ad una
gamba da un cecchino durante una ricognizione, Vittorio era stato rimpatriato in dicembre, una settimana prima che
scoppiasse il finimondo, e ricoverato nell’ospedale militare di San Giovanni in Persiceto, presso Bologna. Dopo un breve
periodo di convalescenza era stato aggregato al 9° Alpini a Gorizia. L’8 settembre si trovava
a Santa Lucia di Tolmino, e la fuga verso casa fu rocambolesca: prima tra i boschi di Castelmonte, poi con il treno,
preso alla stazione di Pinzano. Vittorio si lanciava dal convoglio prima dell’entrata nelle stazioni, controllate ormai
dai tedeschi, e lo riprendeva in corsa subito dopo. Un viaggio difficile che si concluse a Pianzano.
La vigilia di Natale del 1944, verso sera una colonna della Wehrmacht transitava lungo la Pontebbana da Treviso verso
Sacile. Oltrepassata località ”ai Gai”, in una azione di disturbo dei partigiani la colonna fu fatta bersaglio di colpi
di mitragliatrice e bombe a mano lanciate da oltre la siepe.
Bloccati gli automezzi, la zona fu immediatamente
setacciata dai tedeschi che in un attimo arrivarono a casa Tomasella. Al boato delle bombe qui tutti si erano
precipitati nei rifugi (addirittura due erano infatti i ripari della grande famiglia, uno per gli uomini ed uno per le donne, nella
campagna, tre metri sotto terra). Ma non tutti erano riusciti a raggiungerli e Vittorio fu bloccato nel cortile e invitato dai soldati tedeschi della pattuglia a prendere i documenti e seguirli. Entrato in casa Vittorio incontrò il
fratello Enrico che si offrì di sostituirlo (“vado io al tuo posto, io sono in regola con i documenti, e poi tu hai
famiglia”). Fu quindi Enrico a seguire i tedeschi che nell’oscurità non si accorsero dello scambio.
Nel rifugio le donne pregavano
perché il dramma non si compisse:
era un rosario sommesso, per sentire se dalla strada arrivavano gli spari...
Un’ora, un’interminabile ora Enrico rimase davanti ad un plotone con i mitra puntati, in piedi davanti ad uno dei
pilastri d’ingresso della proprietà sulla Pontebbana.
Poi il prigioniero fu rilasciato.
Forse perché l’attentato non aveva causato né vittime né feriti; o forse perché era la vigilia di Natale.
La zona industriale si è inghiottito tutto, ma i pilastri, da cui partiva allora la bianca e dritta stradina che portava
dai Tomasella, sono ancora lì, unici testimoni di un mondo scomparso e di uno straordinario gesto di amore fraterno.
gfdm