IL “CONEGLIANO” A KABUL |
Giugno 2003 |
L'incontro del Gruppo "Conegliano" con la Sezione A.N.A. alla vigilia della partenza | Il rientro in Patria festeggiato a Conegliano il 1° novembre 2003 (la cronaca) |
Siamo felici ed onorati di pubblicare nel nostro periodico "Fiamme Verdi" le notizie giunteci via e-mail. Siamo Grati ad Andrea e a tutti gli Artiglieri: a loro gridiamo "Forza Ragazzi, in bocca al lupo". Arrivederci
La Bandiera donata dalla sezione di Conegliano con il patrocinio della Città di Conegliano |
Vengono resi gli onori alla Bandiera di Guerra del 3° Rgt. a. mon. presso la Caserma "Calò" sita in Kabul. |
Il Comandante del 3° Rgt. a. mon. rischierato a Kabul si onora della presenza presso il suo ufficio della Bandiera di Guerra. |
Quel che rimane di un carro italiano, meglio conosciuto come scatola di sardine, venduto nel dopo guerra all'Afghanistan. Il progetto è di restaurarlo e di portarlo alla Cantore. |
Isak: un buon Alpino d'Afghanistan! |
Il Ten.Col. Caso, Comandante del Gruppo "Conegliano", nonostante sia passata una settimana non si è ancora capacitato della realtà, e cioè che il Milan abbia conquistato la Coppa dei Campioni.! |
Cimitero di carri abbandonati dai russi |
Cimitero di carri abbandonati dai russi |
Cimitero di carri abbandonati dai russi |
Il ten. Col. CRESCI dell'Aeronautica Militare. Un futuro socio onorario? |
Ora siamo anche nei cuori dei bimbi afghani! |
La popolazione viene aiutata anche vaccinando il bestiame. |
Attività CIMIC presso Scuola elementare a Kabul Insieme alla bandierine sono stati distribuiti quaderni, matite colorate e penne acquistati in loco con i fondi del c/cb "A favore del popolo Afgano" Questi bambini saranno il futuro della pace |
Angolo bouvet nella sala ricreativa |
PENNE NERE IN AFGHANISTAN
PATTUGLIA A KABUL
di ANDREA ROMOLI *
L’Afghanistan è stato riconosciuto come il teatro
operativo a maggiore rischio dal punto di vista della sicurezza, ma alla base
Italfor di Kabul gli artiglieri da montagna di Tolmezzo continuano la loro
missione, come ogni giorno.
Le pattuglie motorizzare sorvegliano al città, gli uomini del genio
ricostruiscono strade distrutte dai quasi 20 anni di guerra, la cooperazione
civile-militare esce tra la gente a distribuire cibo e medicine. Dentro la base,
invece, si cucinano centinaia di pasti per i militari italiani e alleati che
condividono le strutture dell’accantonamento e ogni mattina si sforna un
buonissimo pane fresco.
Tutto come ogni giorno, ma ogni giorno è diverso.
Diverso perché fra i soldati del contingente Isaf nessuno prende sotto gamba i
rapporti dell’intelligence rilanciati con puntualità dal governo italiano.
C’è chi vuole fermare ad ogni costo la democratizzazione del paese e nei
giorni scorsi sui giornali di Kabul una lettera a firma del mullah Omar, il
famigerato capo delle milizie talebane mai catturato dalla coalizione
internazionale, ha rilanciato le sue farneticanti minacce agli stranieri: entro
il 30 giugno lasciate l’Afghanistan o sarà peggio per voi.
Gli artiglieri di To1mezzo e tutti i soldati della missione Isaf non si fanno
impressionare, stringono i denti, mettono ancora più attenzione in ciò
che fanno, ma non si lasciano costringere nei loro sicuri e sorvegliati
acquartieramenti dalle minacce di pochi sanguinari terroristi. Sanno benissimo
che la gente di Kabul ha bisogno di vederli, di sentire la loro presenza
normalizzante, di comprendere, anche vedendo le uniformi dei soldati occidentali
per le vie delle città. che un altro futuro è a portata di mano, senza più
morte. terrore, violenza e prevaricazione.
E così escono ogni giorno, anche se sanno che oltre i cancelli della base sono
più vulnerabili agli attacchi dei terroristi.
La gente in tutte le parti del mondo chiede le stesse semplici cose, qualcosa
nel piatto da mangiare tutte le sere, la possibilità di crescere bene i propri
figli e di regalargli un domani di dignitosa speranza. In questa città si
percepisce quasi fisicamente il bisogno di ritornare a una normalità quotidiana
fatta di lavoro e di quelle piccole cose che riempiono la vita di un uomo. I
soldati occidentali sono qui a garantire questo alla gente di Kabul e pagano
ogni giorno un prezzo molto alto in sofferenza e fatica, a volte anche di
sangue, in questa battaglia che, comunque, va combattuta fino in fondo per non
vanificare ogni sforzo finora compiuto.
E gli italiani, come al solito, sono i più amati. E’ difficile spiegare come
questo miracolo succeda, ma, dovunque arrivino, i soldati in tricolore diventano
presto una presenza normalizzante, quasi da sempre abbiano fatto parte del mondo
in cui si trovano a operare.
Difficile sentirli come un corpo estraneo, se non appena mettono piede in un
luogo pubblico; sono immediatamente circondati da centinaia di bambini che
cerano di parlare con loro, di strappare (senza grosse difficoltà, invero) un
sorriso o un pezzo di cioccolata.
Non è la solita retorica degli “Italiani brava gente”, perché fino ad oggi
in Afghanistan è stato molto più facile fare la faccia feroce, chiudersi
dietro le ridotte fortificate con i mitra spianati che cercare caparbiamente un
dialogo con la popolazione, ma questa è l’unica strada per normalizzare un
paese abituato negli ultimi decenni ad affrontare i problemi solo sparando.
Questa la vita italiana alla gestione delle missioni di pace, l’unica che in
questi ultimi anni ha dimostrato di poter funzionare e che ha fatto del nostro
paese il leader indiscusso in questo tipo di operazioni con quasi 13 mila uomini
costantemente impegnati nei teatri di tutto il mondo. In questi giorni, però
gli artiglieri da montagna a Kabul devono affrontare un nuovo insidioso nemico.
In un paese desertificato dalla guerra e dai disboscamenti selvaggi, l’arrivo
del caldo e della siccità porta ogni anno violentissime tempeste di polvere e
sabbia. Fa impressione vedere il cielo oscurarsi d’improvviso, il vento
alzarsi e diventare tempesta e sul campo scendere il buio anche a mezzogiorno,
I mezzi s’incrostano di sabbia e non c’è infisso al mondo che possa
impedire a quella polvere sottile come cipria di infilarsi in tutte le camere
ricoprendo ogni cosa, E in tutta la città in cui le fogne scorrono libere a
cielo aperto la polvere è qualcosa di più di uno sgradevole fastidio da cui
bisogna difendersi a ogni costo.
E allora come spettri nella nebbia le penne nere, i visi coperti dai grandi
“shemagh” (sciarpe multicolore tipiche di queste terre), escono in
pattuglia, montano di guardia, riparano i mezzi, preparano i pasti, perché
polvere o non polvere il lavoro va fatto.
Ogni giorno.
Andrea Romoli
(*giornalista goriziano, ufficiale della riserva, che sta prestando servizio in
Afghanistan)